Bicocca

Bicocca
Fausto Melotti, La sequenza, Milano

martedì 31 dicembre 2013

Motivi personali per andare a Parigi

Il confessionale di ogni blogger serve anche a purgare le proprie colpe. O presunte tali. Allora: visto che la meno di continuo a tutti che la vita è breve e voglio vedere sempre posti nuovi, qui intendo spiegare - in forma di elenco - perché torno sempre nella città più bella del mondo. Ammesso che questa sia una colpa e non solo una sana contraddizione.

Alcuni motivi per cui cerco di andare a Parigi almeno ogni due anni (o anche di più, ma non sempre ci riesco):

- per la luce  
- per le luci
- per sentire l'odore di ferro e binari e banchina e aria pesante della metropolitana
- per vedere le piastrelle bianche delle stazioni della metropolitana e anche le pubblicità concave sui muri che promuovono spettacoli teatrali e/o musicali; e quasi mai telefonini
- per maledire le decine di rampe di scale della metropolitana
- per fermarmi ad ascoltare chi suona nella metropolitana 
- per sentire le conversazioni al cellulare dei passeggeri in metropolitana, soprattutto quelle in arabo o africano che ogni tanto dicono una frase in francese (e capisco solo quella, per esempio "Ah oué d'accord").
- per dire ogni volta che prendo la metropolitana che la metropolitana a Parigi passa ogni 3 minuti e a Milano ogni 20 e che è una vergogna
- per controllare che alcune cose siano ancora così com'erano la volta prima
- per incazzarmi perché hanno chiuso quel posto della volta prima per far spazio a un negozio di vestiti di merda che nessuno compra
- per mangiare le cozze di Léon, anche se Léon ha ristoranti in tutta la Francia e le cozze sono le stesse ovunque
- per mangiare i fallafel dell'As du Fallafel e poi vomitarmeli in bocca per 24 ore
- per fare le foto, quasi sempre le stesse e alle stesse cose e poi ricordarmi che le avevo già scattate identiche due anni prima e quattro anni prima e sei anni prima, però stavolta sono venute meglio e l'angolazione era migliore e anche la luce (ma figuriamoci..!)
- per visitare un cimitero a scelta ogni due anni e star lì davanti alla tomba di uno famoso a scelta che mi ha segnato l'esistenza
- per entrare a Notre Dame e fare sempre lo stesso pensiero, perlopiù malinconico, le ultime volte proprio triste
- per salire "au sommet" della Tour Eiffel e fare sempre lo stesso pensiero ("ohhhhh!!!!")
- per guardare la Tour Eiffel dal Trocadero e pensare che mi sembra enorme
- per guardare la Tour Eiffel da sotto e pensare che è davvero enorme (e che ci sono troppi cinesi)
- per comprare una fetta di flan gigantesca e mangiarla per strada, sporcandomi le mani
- per guardare le vetrine delle librerie
- per fissare i copricapi colorati delle donne di colore ad Abbesses (e in Blv Rochechouard) e sentirmi in Africa per cinque minuti
- per scegliere cosa non vedere, questa volta... e pazienza (e soffrire: e se poi fra due anni non torno?)
- per camminare con gli occhi in su sbirciando i soffitti a trave delle case e invidiare di brutto quelli che ci vivono, che poi mica è vero che son per forza felici; e però...
- per dire che Parigi è il mio analista che mi mette a posto senza farmi domande inopportune e a minor prezzo
- per mettermi a posto
- per guardare la tv francese, soprattutto i canali di televendita e le boiate tipo varietà con cantanti improbabili e presentatori brutti e francesissimi
- per vedere la cupola delle Galeries Lafayette, che soprattutto a Natale è proprio bella: dio, che meraviglia!
- per parlare in francese con la gente, così ogni tanto qualcuno mi fa i complimenti perché parlo francese
- per andare nella piazza più bella del mondo e stare lì in silenzio e pensare che bello sarebbe aprire le finestre e affacciarsi in Place des Vosges (e questa non la salto mai)
- per vedere il Blv Saint-Michel e dire che è troppo commerciale, ormai... e dirlo da vent'anni
- per dire che il Quartier Latin è una fogna per turisti tristi
- per lamentarmi che i parigini sono stronzi e corrono sempre e spingono (che cazzo spingi?)
- per lamentarmi perché anche i milanesi sono stronzi e corrono sempre e spingono e Milano non è Parigi
- per comprare minchiate di porcellana bianca o altre cose da cucina inutili e mediamente costose nel negozio La Vassaillerie di rue de Rennes
- per fare la spesa al mercato di Blv  Richard Lenoir, e avventarmi soprattutto su formaggi puzzolenti che spesso non mi piacciono neanche e tanfano nel frigo; ma anche per comprare le spezie e le mandorle salate da mangiare per strada, le mandorle, intendo
- per sporgermi dai ponti per vedere la Senna marroncina e le chiatte piene di sabbia che passano sotto di me e fotografarle e ripetere sempre "La Seine a de la chance, elle n'a pas de soucies... ecc.", che noia
- per constatare che ogni volta che ci vado c'è più sporcizia per strada e che non è giusto
- per constatare che ogni volta che ci vado ci sono più clochard per strada e che a maggior ragione non è giusto
- per perdere tempo ciondolando senza motivo in posti sconosciuti ai turisti, sia tristi sia felici
- per vantarmi con me stessa e con "le monde entier" che ormai giro senza cartina, quindi è casa mia
- per continuare a credere che in un'altra vita ho abitato qui 
- per continuare a sperare di venire a morire qui, come un elefante
- per essere certa che esisto ancora e che quindi ci torno fra due anni: è inutile piangere in stazione prima di salire sul treno per Milano e anche sul treno.

Ecco. Ce ne sono molti altri, ma ho rispetto del lettore, se c'è.


sabato 28 dicembre 2013

È Natale (non badare)*

Nella città più bella del mondo, il Natale è anche questo. Cerco sollievo nei due cagnolini.

Parigi, rue d'Arcole, 25 dicembre 2013


Le foto, le altre, la prossima volta.

(*cit. da "Spazzacamino", Rusconi-Cherubini-Bixio, 1929)

mercoledì 18 dicembre 2013

Otherwise we go on the rocks

Non credo che la colpa sia tutta di Schettino. Erano tutti in plancia, tutti sapevano tutto. Sapevano che la velocità era eccessiva, che la rotta era sbagliata, che il timoniere non capiva bene gli ordini, che c'erano molti problemi tecnici, che la carta non era dettagliata, che non si dovrebbe fare l'inchino, che il comandante era "distratto" quella sera, che non ci si "ammutina", che a volte tacere è meglio, se poi con lui ci devi navigare ancora. Sapevano tutto, anche l'armatore sapeva. Ridevano, in plancia, quella sera.
E anche noi sappiamo tutto.
Sappiamo a chi obbediamo, sappiamo che la rotta di questo Paese è stata impostata male, molto male e da molto tempo, sappiamo chi è stato, sappiamo che dobbiamo navigarci ancora, e non ci ammutiniamo. A meno di due miglia dal disastro, al buio, senza nemmeno le scialuppe di salvataggio, stiamo aspettando di capire chi è al comando, e abbiamo anche smesso di ridere. 
E invece bisognerebbe virare di brutto e in fretta, perché a me sembra che stiamo proprio andando a scogli.

domenica 8 dicembre 2013

Se gela

Lidl, sabato mattina. Il supermercato è pieno, coda alle casse. Ormai (o finalmente) anche gli italiani ex benestanti vengono a fare la spesa qui, il risparmio è sensibile; e la qualità
è una variabile che ogni giorno diventa meno importante. Nel parcheggio mi avvicina un signore; è arruffato, con un giaccone aperto, magro. "Mi scusi signora, posso riconsegnare il suo carrello?". Me lo chiede con gentilezza, con dignità, senza aspettarsi niente. Non è il solito rom insistente e villano, è il vicino di casa, il collega, il compagno di scuola. Ringrazio educatamente, non serve, faccio da me. Il signore sorride, si volta, va a riporsi
in disparte, come una cosa, vicino al muro, lontano dal viavai, per non disturbare.
Riporto il carrello e mentre cammino la lama del dolore e della vergogna affonda nel mio stomaco. Riaffiora "Il sole dei morenti", di Jean-Claude Izzo, mi manca il respiro, come quando l'ho letto. Mi avvicino al signore e gli passo il pegno di questa mia sofferenza.
Lui puzza di solitudine, di miseria, di alcol, di abbandono, di rinuncia, soprattutto. Sorride ancora, sorride, mi ringrazia. Ci guardiamo. In questo mondo e in tutti i mondi, se gela, è un attimo. Anche lui è scivolato.

venerdì 6 dicembre 2013

Bitmap # Costruire/01

Alba sulla gru. C'è poesia anche nello scempio volumetrico di questa città.
Che una luce così accolga Madiba, uomo immenso.


mercoledì 27 novembre 2013

Non basta

Il pregiudicato finalmente è fuori dal Parlamento.
Che la Natura dia ora una mano a questo povero Paese, a noi, ai nostri figli.
Che si metta una mano sul cuore e lo deponga, come fa spesso con chi non se lo merita.

Come ho detto a un giovane muratore felice, oggi, mentre portava il suo sacco di cemento sulle spalle, l'economia si potrà forse risollevare nell'arco di qualche anno.
L'etica, purtroppo, no.


sabato 23 novembre 2013

Allontanarsi, treno in transito

Le stazioni dei treni mi attraggono e mi distraggono. Mi piacciono tutte le stazioni, quelle gigantesche e caotiche, quelle piccole sulla costa, quelle di montagna, quelle anonime, quelle dall'architettura prepotente, quelle nuove, quelle che sono alla fine della linea ferroviaria, quelle di passaggio. Mi piace - tanto - la Gare de Lyon, anche se una volta ho perso il treno e l'ho attraversata di corsa, cercando dannatamente il quai giusto, e poi ho visto il culo dell'ultimo vagone che si allontanava... Mi piace Piazza Principe, dove mi commuovo sempre, perché sono una sentimentale e so cosa sto lasciando. Mi piace Penn Station. Mi piace anche la Centrale di Milano. 
Da quando l'hanno ristrutturata, non è più lei. L'hanno farcita come un panino con negozi monomarca, con vetrine enormi che espongono milioni di smartphone legati con il lucchetto ai ripiani di plexiglass, con bar, profumerie, grandi magazzini di elettronica. Hanno acceso luci violente che abbagliano la volta della galleria, e hanno messo dei tapis roulant lentissimi cui si accede dopo essere passati davanti a tutti gli orrendi spazi commerciali. Fra questi, c'è un punto vendita di una catena di cui non sapevo nulla fino a ieri, la spagnola Desigual. Musica a volume alto, abbigliamento e accessori coloratissimi, fra l'etnico e l'avanguardia. Sono entrata a curiosare, ho pensato: "Se avessi vent'anni mi comprerei qualcosa".
Poi ho capito che se avessi avuto vent'anni non avrei avuto i soldi per comprare nessuna delle meraviglie esposte. Forse i ventenni di oggi hanno una disponibilità economica diversa. Mi sono incamminata verso il piano binari e lì tutto è tornato più o meno come una volta. L'altoparlante che annuncia decine di ritardi, sporcizia, puzza di piscio, i muletti che pestano i piedi alle migliaia di viaggiatori che si scontrano correndo, sospinti dalla necessità.
I partecipanti alla scena sono di ogni colore e di ogni natura, dall'uomo in doppiopetto che si trascina la Samsonite al maghrebino che vende qualcosa, dalla scolaresca di ritorno dalla gita al pendolare sfinito che si affretta e smadonna contro il mendicante che gli si para davanti, dalla signora senza casa e senza denti al diplomatico che sale sul Freccia Rossa con la scorta. Qualche poliziotto passeggia in coppia chiacchierando del più e del meno, una voce avverte che la stazione è provvista di telecamere di sicurezza. Il tabellone richiama gli sguardi un po' troppo in alto; il celebre binario 21 è irraggiungibile a causa delle transenne dei lavori in corso. Qualcuno mi spintona, un tizio dagli occhi azzurrissimi mi chiede se il treno del binario 7 va a... E che ne so, io? Provo ad aiutarlo, si scoccia e corre via, lasciandomi con la parola a metà. Al piano binari non c'è molta luce. Tutto è scuro, buio, ogni tanto i lampi di pannelli pubblicitari ossessivi e violenti rischiarano per cinque secondi qualche metro quadrato di un selciato unto, nero, chiazzato. Mi è tutto familiare. Qualcuno si abbraccia, qualcuno piange, molti sono stanchi. Penso alle mie partenze e ai miei arrivi, a chi ho accompagnato e a chi ho accolto. Tanto tempo. La stazione, simbolo del viaggio, teoria pura di sopravvivenza.


Si è fatto tardi, l'altoparlante annuncia il solito ritardo e poi un treno in partenza per Zurigo. Chi aspetto arriva al binario 4, è finita la mia attesa: mollo il passato e mi concentro sul presente.

Scendo le scale infinite che mi riportano in piazza Duca d'Aosta. Cerco con lo sguardo la comunità di siriani, con molti bambini, che da settimane si rifugia qui, in attesa di proseguire la fuga verso Nord. Sono assistiti dai connazionali che portano abiti e cibo. Sono persone benestanti, scappate dalle bombe, sopravvissute a naufragi e incursioni delle forze dell'ordine, che fortunatamente ogni tanto fingono di non vederle. Anche la loro è una teoria di sopravvivenza: non devono farsi prendere le impronte digitali qui, altrimenti saranno costrette a chiedere asilo politico all'Italia, e non vogliono. I parenti li aspettano in Svezia. Magari qualcuno verrà a prenderli. Magari un pullman "sicuro" parte domani mattina.
Lo spero per loro.


Scivolo in metropolitana, aprendomi un varco nella calca del venerdì sera.
Ricordo una stazioncina tranquilla, il mare dietro ai binari.









giovedì 21 novembre 2013

Cento giorni (di felicità)

Non sono molto sensibile alle promozioni letterarie, però mi ha colpito che il libro di un regista e sceneggiatore italiano non troppo originale abbia sbancato alla Buchmesse di Francoforte: è stato acquistato da decine di case editrici in tutto il mondo, così, sulla fiducia.
La storia è semplice: a un mediocre ex pallanuotista quarantenne viene diagnosticato un cancro in fase terminale. Tre mesi e rotti di vita, e ciao.
Lui ha la sua bella famigliola, vivacchia fra insuccessi e sogni di bambino rimasti tali, ha un lavoro di merda. Vabbè, il resto si intuisce: negli ultimi cento giorni che gli restano prova a mettere ordine, con la complicità degli amici più cari e con tanta tenacia. Con un filo di coraggio, che gli fa onore, sceglie il suicidio assistito, tema non facile da affrontare, di questi tempi. Il titolo però secondo me inganna: io non l'ho vista la felicità. Ho visto un po' di riparazione, un po' di consapevolezza, ma la felicità, quella, no.
Ovviamente l'età dell'autore e del protagonista hanno una facile eco nei lettori della sua generazione, che è più o meno la mia. In noi che riconosciamo i suoi piccoli e grandi progetti, i fallimenti personali annunciati, i brani musicali (Tom Waits... ahhhh...), le trovate, gli errori. Quindi è una passeggiata dentro, sopra, a fianco, sotto noi stessi. Con un filino di ironia che opacizza il dolore e la paura, soprattutto di non avere (più) tempo.
Non grido al miracolo, anche se la scrittura è fluida e c'è anche qualche cosina di geniale, come ricordare ogni tanto, in modo leggiadro, tutte le idee originali di Leonardo. Molte delle quali, però, sono rimaste idee: perché tra il dire e il fare, anche per Leonardo, come per noi.... E lo sa bene anche Fausto Brizzi. Che vorrebbe diventare scrittore. Se questa è farina del suo sacco, se lima gli eccessi di fantasia, se non molla, ce la farà. Spero.

P.S.: la spiaggia, però, non degrada: digrada. Lo dico anche al revisore di Einaudi, che non mi leggerà, perché lui fa parte di quelli che invece ce l'hanno fatta.

sabato 9 novembre 2013

Bill il Grande

Sono consapevole che ormai la notizia è già vecchia e scriverne oggi ha poco senso. Ma poiché le uova sono buone anche dopo Pasqua, e l'influenza che mi ha steso non ha nemmeno provato a spegnere il mio tributo, vorrei spendere un minuto di ammirazione sul gigantesco Bill De Blasio: enorme, italoamericano che parla davvero in italiano e non dice con quell'accento lì "Ai wanna baiacarrr", è figlio di un alcolista morto suicida, ha sposato un'intellettuale nera (ex) lesbica, ha fatto il viaggio di nozze a Cuba, ha sostenuto i Sandinisti, ha un figlio che sembra la reincarnazione di una Black Panther ma che si chiama Dante (Dante!!!), vuole togliere ai ricchi per dare ai poveri, lotta per i diritti dei gay,
va in bicicletta. Il suo programma (eh...): scuola pubblica, case popolari, tutela dell'ambiente e aliquote maggiorate sulle fasce più abbienti. Si è portato a casa New York con il 73% delle preferenze.

Senti, Bill: non sarà facile. Ma che sollievo sapere che almeno c'è chi ci prova!!





domenica 3 novembre 2013

Nonna, ho fatto un salto a Barcellona...

Mia nonna Carla era una telespettatrice esigente (anche una radioascoltatrice esigente, a dir la verità). Si inchiodava davanti ai documentari che raccontavano il mondo, lei che da bambina aveva fatto il grande viaggio in nave, per emigrare negli Stati Uniti, nel 1912. Era andata molto male e una volta tornata al paese, orfana di madre e con qualche parola di inglese scolpita nella testa (Sciadap! Biutifol! Potetos!), non si era mai più mossa fino alla seconda emigrazione, nella Lombardia industriale postbellica. Le piaceva un sacco guardare in tv le storie e i costumi di popoli lontanissimi o vicinissimi, diceva che era come andarci di persona, soprattutto da quando mio padre le aveva regalato una delle prime televisioni a colori. 
Devo aver ereditato qualcosa da lei, oggi che il computer ti porta dove vuoi. Preparo viaggi immaginari, visito luoghi, mi incanto davanti alle riprese di qualche webcam piazzata a New York, so cosa succede nella nuova Russia, oltre alle Femin e alle acrobazie sul lettone di Putin, salgo sull'Everest, scendo negli abissi.

Ieri sono capitata per lavoro sul sito del Centre de Cultura Contemporània de Barcelona (www.cccb.org). A parte l'incredibile offerta di eventi, dibattiti, installazioni, video e mostre (per esempio quella della World Press Photo 2013), varrebbe la pena anche solo scoprire come uno spazio vecchio e abbandonato, un tempo ospizio per i poveri, sia stato riportato alla vita e rianimato da una geniale e visionaria aggiunta architettonica, un muro di specchi eretto nel cortile che accende l'immaginazione in modo funzionale.




Detto questo, mi sono domandata: perché a Milano non c'è nulla di simile? Perché a mala pena sopravvive il PAC, con proposte modeste, visitate (poco) solo dai turisti stranieri?
Perché il progetto del Museo di Arte Contemporanea che doveva sorgere in mezzo allo scempio volumetrico della vecchia Fiera è stato cancellato? Perché sono rimasti solo decine di grattacieli residenziali vuoti (!!!) e un parallelepipedo di cemento in costruzione, che sarà la sede di una compagnia di assicurazioni?
La risposta è una sola: perché non ci sarebbero visitatori. Perché l'arte non interessa. Perché la cultura è diventata un lusso (come la scuola): 8 o 10 euro per il biglietto di ingresso sono tanti quando il 41% dei giovani è disoccupato; e, a differenza di Barcellona, non c'è una mezza giornata alla settimana con ingresso gratuito. Perché ai ragazzini si compra l'IPhone e non si insegna la gioia del pensiero, della scoperta. Perché questo vergognoso Ventennio ha prodotto anche e soprattutto questo: il deserto della curiosità. Ha cancellato il piacere di guardare, di ammirare, di ascoltare i segni. Non ha capito che di arte si può vivere, rivivere. Rinascere.

Dopo questa deriva amara sono tornata al CCCB e mi sono spostata sul sito del vicino Museu d’Art Contemporani (www.macba.cat). Ho guardato la meraviglia abbagliante del suo guscio, gioiellino di Richard Meier, e scorso le mostre in programma per il 2014: sono nove, una più bella dell'altra. Pensare che a Barcellona vanno tutti per Gaudì. 

Poi si è fatto tardi, e il quotidiano mi ha richiamato. Prima di "spegnere", ho pensato: nonna, ho fatto un salto a Barcellona. Sapessi cos'ho visto...

domenica 27 ottobre 2013

Il futuro e la buriana

Il signor D. è un cretino. Quando si parla di futuro, bisogna stare attenti.
Il futuro di chi? Il signor D. è in età avanzata, il suo futuro ha già un contorno. Forse per questo non sta attento a quello che dice. Il signor D. non ha figli suoi, ma "aiuta" i figli di sua moglie, che sono in età matura, e che hanno figli; e questi figli e figliocci e nipoti non avrebbero nemmeno un presente se il signor D. non li mantenesse. Quindi al signor D. il loro futuro dovrebbe interessare. Comunque, il futuro di questo Paese, oggi, non è un un pensiero bello. L'Electrolux vuole chiudere le quattro fabbriche in Italia (notizia di due giorni fa) ed è l'ultima, in ordine di tempo, della serie infinita di aziende ricche e famose che lasciano nella merda migliaia di persone. Forse il signor D., ieri mattina, quando parlava di futuro, non aveva ancora sentito dei sei milioni di disoccupati che non sanno da che parte voltarsi per comprare la carne o per pagare le spese del condominio. 

Forse il signor D., quando dice che "conosce un sacco di giovani che si sono sistemati bene in Italia", e che "la buriana sta passando", non conosce invece i 232 ricercatori di una famosa azienda di telecomunicazioni, che dopo sei mesi non si sono ancora "sistemati", né bene né male. Il signor D. dice che i figli di sua moglie "sono delle merde, mentalmente o psicologicamente". Fra quei 232 ricercatori non ci sono merde, lo so per certo. Ci sarà qualcuno meno brillante, qualcuno meno sgobbone, ma non ci sono delle merde. Il signor D. dovrebbe sapere che alcuni di loro hanno tolto i figli dalla scuola a tempo pieno perché non avevano più i soldi per pagare la mensa. Il signor D. non sa che avrebbero potuto essere 233, ma uno di loro è morto di infarto, a 51 anni. Dopo due anni di lotte, scioperi, presidi, manifestazioni, una notte il suo cuore è andato a riposarsi. Bam. Fermo. Per sempre. Neanche i suoi ragazzi sono delle merde, sono orfani, ma non sono delle merde. 
Il signor D. dice che non bisogna mandare i figli all'estero, perché le "cose vanno cambiate dall'interno". 
Il signor D. non capisce la metafora della madre eritrea che, per salvare i figli che voleva portare al sicuro in Europa, quando il barcone brucia e tutti finiscono in mare, li solleva fuori dall'acqua, e lei va a fondo. E dopo vanno a fondo anche i figli, se qualcuno non li prende.
Il signor D. non misura le parole, perché non ha figli suoi, mi è stato detto. 
Ma io conosco anche gente che non ha figli suoi e si offre di stringere le braccia di quelli ancora a galla, e magari li porta a riva.
Il signor D. è un cretino e io a volte sono stanca e stufa di ascoltare le opinioni dei cretini. Mi offendo (ancora!), mi indigno, prevale il peggio di me.
Forse non è mandando i figli all'estero che li si salva, forse le cose cambieranno, forse finalmente Berlusconi morirà, forse investiremo sulla cultura, forse useremo i soldi delle spese militari per creare lavoro, forse il merito diventerà l'unica discriminante, forse conquisteremo anche noi la nostra primavera, forse la buriana passerà. Aspetto da così tanto tempo che, quando parlo di futuro, chissà perché sono certa che non sia qua. 
E quando parla il signor D., devo imparare a guardare fuori dalla finestra e aspettare che finisca, proprio come la buriana.

giovedì 24 ottobre 2013

Bitmap # Proiezioni/01

Come ci perpeciscono gli altri?  E, soprattutto, quanto di intenzionale
c'è nell'immagine che proiettiamo di noi? Sembriamo soltanto o siamo davvero? Che cosa ne sanno gli altri di noi? O che cosa lasciamo che sappiano? E la visione è volutamente distorta in quanto speculare?

 



domenica 20 ottobre 2013

No brain no pain

Per un ripassino sulle funzionalità e sulle misteriose applicazioni del cervello, in caso di maltempo autunnale o di un'incipiente attacco di noia, si può visitare la mostra "Brain. Il cervello: istruzioni per l’uso" (www.mostrabrain.it), al Museo Civico di Storia Naturale, a Milano. Premesso che l'allestimento è opera di un imbecille (i pannelli con le scritte bianche su fondo salvia invitano all'uscita immediatamente, soprattutto perché si tratta dei termini più importanti, essenziali alla comprensione; per tacere delle decine di refusi...), i contenuti non sono male. Cioè, capendo poco o nulla di neuroscienze, questa infarinatura leggiadra su come funziona la materia grigia intrattiene l'astante per un'oretta, distribuendo anche un po' di conoscenza. E qualche stupore. Per esempio si impara qualcosa sui meccanismi neuronali che sono alla base della memoria o sulle risposte emotive a precise sollecitazioni. La ricerca lascia sperare che in futuro si riesca a comunicare col pensiero, per chi ne ha bisogno. Alla fine ci si può cimentare nello "Star tracing": si dovrebbe ricalcare il contorno di una stella guardando la propria mano riflessa in uno specchio, utilizzando la memoria procedurale. E lì, la mia connessione neuronale si è interrotta. Umiliante è dire poco. Come dice il proverbio, non capirlo sarebbe stato meglio.

martedì 1 ottobre 2013

Il mare rende tutto

Così si dice quando troviamo qualcosa di perso che abbiamo cercato a lungo, ovunque. E che importa se il mare rende 13 poveri cristi morti o 13 mila, anno dopo anno, onda su onda, come dice la canzone. Eppure c'è qualcuno, ancora, e perbene, che corre, tira fuori dall'acqua quelli che il mare ha restituito ancora vivi, li aiuta a respirare, regala loro una camicia, una mano, sulla spiaggia "di Montalbano" (ah beh, allora...). E poi li ributta triste nel mare di quello che resta della loro vita. Alcuni dei resi sono piccolissimi, speriamo non se ne ricordino.

sabato 28 settembre 2013

Dove non si tocca

Non è solo con l'inoltrarsi negli anni che ci si accorge che il proprio mondo si dissolve. Mi chiedo a volte come potrei sopravvivere alle persone
che mi hanno accompagnato; eppure succede, eppure è successo.  

In un secondo si finisce dove non si tocca. 
E impari in qualche modo a stare a galla: a volte si beve, manca il respiro.
Poi ci si assesta e la corrente fa il resto.

Quanto miseri mi appaiono i sostenitori del pregiudicato che urlano e dileggiano mentre un signore anzianissimo e ostinato cerca, ricordandoli, di ridare vita ai suoi "affetti radicati". Anche da vecchi l'assenza fa male.

mercoledì 25 settembre 2013

Via Caprilli

Eccoli qua i quadri dei ragazzi terribili che colorano questa città senz'anima. L'ippodromo e i suoi cavalli da corsa sono stati per me solo una tangente temporanea. Riemergono ora inaspettatamente dal muro di cinta
di via Caprilli, trasformati e insidiati dalle ombre degli alberi
e dai benpensanti, che non li vogliono. Un chilometro di lingue rosse
e viola e gialle, volti inquietanti, bocche spalancate e fumi rabbiosi;
viene voglia di tornare a vederli, appena il cielo si incupirà di pioggia
e di inverno. Se ci saranno ancora.








domenica 22 settembre 2013

Bitmap # Guardare/01

Nuova rubrica fotografica. Categorie in via di definizione. 
La prima è:

Guardare

martedì 17 settembre 2013

Tornare in asse

L'hanno tirata su. Fossi un ingegnere, proverei il brivido del successo, del primato dell'intelligenza sulla stupidità, della ragione e della fisica sulle avversità e sul difetto. La fiancata della Concordia è un coacervo di lamiere e alghe, un'alba triste per un mostro senza senso, che porta migliaia di persone a divertirsi e altrettante a guadagnarsi il pane, al ponte Zero.
Ci si rialza quasi sempre, soprattutto se ti danno una mano. E poi, finalmente, si va a dormire.

mercoledì 4 settembre 2013

Il beneficio delle parole

Emmanuel Carrère chiuderà il Festival della Letteratura di Mantova. Le sue "Vite che non sono la mia" non è per tutti, il dolore raccontato con lucidità non piace, lo posso capire. E poi le digressioni richiedono una certa agilità mentale. Eppure per me resterà una pietra miliare, e la sua scrittura è straordinaria. Che sollievo quando lo stile accompagna i pensieri condivisi... Non appena mi passerà la sensazione di vuoto da "fine del discorso", per gratitudine affronterò anche "Limonov".

martedì 3 settembre 2013

Vi dichiaro marito e moglie

Inaspettatamente riesco a non perdermi la mostra di Gianni Berengo Gardin (Milano, Palazzo Reale, fino all'8 settembre). Il pomeriggio è ancora estivo e il cielo è quello bello blu di Lombardia, solo quando vuole. Mi rubo anch'io una foto del candore del Duomo; mi tenta sempre, ne ho decine di foto così, in fondo tutte uguali... Ora è più facile di una volta: cellulare, clic... ce l'ho.

Al pianterreno del Palazzo, in una sala in penombra e di cui si intravvede un arazzo alla parete, si celebrano le nozze civili. Fuori, una gran festa. La sposa è musulmana, in bianco ricamato ma con l'hijab di raso che le avvolge anche un immaginabile chignon, una cupola lucente che corona due occhi profondi, truccati in modo appariscente, ormai certi di parlare al futuro. La sorella è alta, coperta dalla testa ai piedi da un abito blu, bianco e oro; chiacchiera con le amiche, tra cui una giovane ragazza italianissima, accaldata e con un bambino addormentato nel marsupio, e con le damigelle vestite uguali, a dire il vero alquanto scollacciate e in bilico su tacchi altissimi. Tutti ridono, gli sposi salgono su un'auto scura, si concorda chi va con chi. 
Bello.

Salgo al primo piano, nel mio mondo, a Milano negli anni Settanta, la rimessa dei tram, i vigili, una certa malinconia negli sguardi, la stazione Centrale, le valigie con lo spago degli emigranti. Me le ricordo. C'è anche Dario Fo. E Castiglioni, con Alessi e la sua teiera. E poi Venezia con la neve, e il sorriso di una ragazza che vola in altalena e mi attraversa. Ci sono i manicomi cancellati da Basaglia, l'umanità venuta male, insultata dallo stato; e infine la posa seria di due bambini in un campo rom, negli anni Ottanta. 
Toccante.

Ripasso davanti alla sala dei matrimoni: esce fra gli applausi una coppia fresca di contratto. Lei è davvero felice, le danza intorno un signore un po' strano, con il codino, claudicante, la solletica a voce alta, la mette un po' a disagio. Per un attimo i nostri sguardi si incrociano, le sorrido, sincera. E lei ricambia, come sorpresa e contenta di vedermi (dubbio: ci conosciamo?). Lo sposo sembra invece che non si orienti, perso in un contesto che non gli appartiene, circondato dai pochissimi invitati. Lui non sorride. Foto di gruppo (piccolo). 
Triste.

Sposto questo velo con un caffè e poi torno al bagliore che rimbalza sul marmo della mia solita, amata, stupenda cattedrale. Mi riconcilio con questa città e i suoi contrasti. C'è dentro proprio un po' di tutto.





mercoledì 28 agosto 2013

In cerca di diritti umani

Qualcosa mi turba leggendo oggi che quel signore pregiudicato vuole appellarsi alla Corte europea dei diritti umani e una bambina di soli quattro giorni, nata in mare nel sudiciume di un peschereccio, è approdata sulle coste di questo Paese svergognato. La sua mamma stremata l'ha scaricata su questa terra perché scampi al gas nervino, perché non si addormenti. In me affiora solo l'aggettivo "indecente".

(la Corte valuterà la richiesta di quel signore in coda alle altre già pervenute?)

lunedì 26 agosto 2013

Km 158

Segnalo questo libro sulla base di sentimenti personali, ma condivisibili, credo, da molti.
Ne parla "L'Isola dei Cassaintegrati", un blog che ho visitato molte volte, con rabbia, con dolore, con disperazione.
Quando si parla di lavoro, occorre cautela. Grazie ad Alessandro Braga, che ha raccolto la storia di persone come tante. Alcune di queste, le conosco.
Al Km 158, in fondo, ho abitato anch'io.

http://www.isoladeicassintegrati.com/2013/08/14/km-158-la-lotta-dei-lavoratori-jabil-in-libreria/

sabato 24 agosto 2013

La pronipote di Lancillotto

Finisco anche a Troyes. Come Chrétien (de), quello di Lancillotto. A mezzogiorno e mezzo, ora sbagliata, passeggio fra le molte case a graticcio risparmiate dalla storia. La cittadina è graziosa, sembra di piombare all'improvviso nel Medioevo. I tetti nella minuscola Rouelle des Chats quasi si toccano, lassù in alto.
In centro, nella place Alexandre Israël, sento un applauso provenire dal municipio. Penso a un matrimonio e sbircio nell'obiettivo della macchina fotografica per scovare la sposa e bermi un po' della sua gioia, in barba alla luce accecante. Mi viene incontro una signora bionda in bicicletta, che si scusa per essere entrata nell'inquadratura con prepotenza: è ovviamente "desolée". Per farsi perdonare, mi costringe a salire al terzo piano della casa del Duecento, dalle pareti storte, dove ha sede il suo ufficio, in una banca. Mi arrampico e la seguo, e poi mi affaccio alla finestra promessa. Due scatti, per non sbagliare.
La signora dice che è la prima volta che permette a qualcuno di catturare una fotografia "unique". Mi parla di un ministro che è stato sindaco di Troyes, tutta gonfia di orgoglio e sostiene che i giornalisti affollano spesso la piazza, quando il politico è di passaggio, ma lei non li fa entrare, è gelosa della sua vista sulla piazza. Sinceramente della fotografia al municipio non me ne importa niente, anche se è "unica". Ma la signora è sorridente, entusiata; mi è parso che ci tenesse. Allora gliela pubblico, 'sta foto. Se l'è meritata.




Un quarto di Pont l'Evêque

Rouen, mercato alimentare della domenica mattina. In coda per comprare una fetta enorme di Morbier, chiacchiero con la cliente dopo di me (ricca e colta, si vede da com'è vestita e dal marito gourmant che è dietro di lei) e la signora che vende dietro il banco. Ha licenziato la ragazza che la aiutava, "mangiava il formaggio e perdeva tempo...". La cliente compatisce la giovane lasciata a casa. Il faut aimer son travail, bisogna amare il proprio lavoro, dice. La formaggiaia è indignata: con questa disoccupazione, è vergognoso farsi licenziare perché non si vuole lavorare di domenica, si manca di rispetto a chi non ha di che sfamare i figli. Mi guardano entrambe, dopo aver magnificato il brebis fermier e avermi consigliato una toma che si conserva bene, vogliono sapere con chi sto. Non lo so. Forse sto con chi non ce la fa a sfamare i figli. Non è più ammesso non amare il proprio lavoro, se rinunci, offendi chi il lavoro lo sogna di notte. Scuoto la testa, resto su un generico "anche in Italia è dura, e stanno ammazzando lo stato sociale, la gente piange". Il pacchetto è pronto, pago. Sentirà, il Pont l'Evêque è eccezionale. Certamente, grazie. Bonne journée.

mercoledì 7 agosto 2013

A nord di tutto

Fedele al proposito di non comunicare nulla di idiota (nei limiti...), non scrivo niente.
Avrei una serie di temi da trattare: il "passo indietro", la "fine della larghe intese" (magari!!), la legalità, il voto anticipato, la vergogna di andare all'estero e dover giustificare perché uno condannato in via definitiva per una gigantesca evasione fiscale non è in prigione, come dovrebbe, ma urla e piange e ricatta e vuole la grazia... i social network, i messaggi personali dell'account sui social network, le statistiche (che mi attirano come una calamita!), la poesia, Emmanuel Carrère, gli elenchi che stilo continuamente, a proposito di tutto. Appunto.
Troppo caldo.
Vado a rinfrescare i pensieri.

venerdì 2 agosto 2013

Siamo tutti (ir)responsabili

Download with AllDebrid
Eh... insomma...
Lasciamo la parola a chi se lo merita.

http://www.youtube.com/watch?v=gkrnK0igAP0

Grazie a N. per avermelo ricordato.

martedì 30 luglio 2013

Nell'attesa

...

È il teatro di sempre, è la guerra di sempre.
Fabbrica desideri la memoria
poi è lasciata sola a dissanguarsi
su questi specchi multipli.
Ma guarda -
tornano voci dalla foce - guarda da un'ora all'altra
come cambiano i colori, di grigio in verde, di verde
in freschissimo azzurro.
Amalo dunque - da cosa a cosa
è la risposta, da specchiato a specchiante -
il mio rammemorare
per quanto qui attorno si impenna sfavilla si sfa:
è tutto il possibile, è il mare.

Vittorio Sereni, 1913-1983, da Un posto di vacanza, 1974
 

lunedì 29 luglio 2013

Salto nel tempo

Due ragazzine nel parco cittadino, sotto un temporale estivo, completamente fradicie, i capelli lunghi e gocciolanti sul viso, le canottiere appiccicate,
i pantaloncini da strizzare. Urlano, cantano, saltano, ridono, corrono come matte sotto la pioggia che appanna tutto. Sono tornate piccolissime. E sono immensamente felici, insieme, come una volta. Esce il sole.

giovedì 25 luglio 2013

Via

Estate (ma non solo). Un'unica ossessione, il viaggio. Vedere, capire, ascoltare. Fotografare. Una sorta di respirone prima dell'apnea quotidiana che ormai segna il nostro tempo.
Sì, sì, il viaggio è la fuga, in tutti i sensi, una benedetta fuga. Per questo l'immobilità pesa, in qualsiasi sua forma: fisica, emotiva, mentale.
Maria Perosino in Io viaggio da sola precede ogni paura, anche la più grande.
È ora di andare, è ora di pensarci.

martedì 23 luglio 2013

Le passioni salvifiche

La risposta è qui. Ci occupiamo solo di noi e del nostro microcosmo. Questa è la luna impassibile che splendeva stanotte, piena, d'oro e magnetica. Abbandonata ogni indignazione, dimenticato ogni altro pensiero, l'ho immortalata.




Ho bisogno di un obiettivo 70/300. Anche Sigma va bene, non ho la pretesa che sia Canon. L'importante è che sia stabilizzato, attacco Canon. Chissà se Babbo Natale ogni tanto visita il mio blog...

lunedì 22 luglio 2013

E poi?

Rinascessi, mi occuperei di sociologia. Ovviamente non riuscirei mai a tradurre bene i concetti come Ilvo Diamanti, ma mi sentirei più consapevole. Forse riuscirei a spiegare a me stessa il processo evolutivo, anzi, involutivo, di questa mia povera patria così persa, così stremata, così precipitata. Capirei meglio perché le fabbriche chiudono, perché Dolce & Gabbana evadono, perché Alfano è ministro dell'Interno, perché Pompei crolla, perché il PD ha stravinto - suo malgrado - alle elezioni amministrative, perché serve una "moratoria sui temi etici", perché non voglio più lottare per "cambiare dall'interno", perché abbiamo rinunciato. E poi?

venerdì 19 luglio 2013

La curva di Laffer

Non ne so abbastanza di economia, ma ho ben presente il famoso grafico che rappresenta la relazione fra l'aliquota delle imposte e le entrate fiscali. Reminiscenze scolastiche, dei tempi di Reagan, quando ancora covava in noi una larva sana che rifiutava l'imperialismo capitalista americano (come lo definiva mia nonna Carla, buon'anima). Se si supera una certa soglia di prelievo fiscale, crollano i consumi e quindi l'erario ci perde. Insomma, oggi si tira fuori questa storia a proposito del prezzo dei carburanti: la benzina costa ormai così tanto che la gente non usa più l'automobile (se può) e quindi il rialzo "alla pompa" è vanificato, anzi... lo Stato ci perde.

Azzardo un paragone: questo alzare l'aliquota dell'imposta etica, accettare supinamente lo sputtanamento delle istituzioni, sotto il ricatto presidenziale (ma da quando siamo diventati una repubblica presidenziale? e chi è stato? e perché la regola di "blindare l'esecutivo" non vale quando qualcun altro minaccia di far cadere il governo se un cittadino dovesse venire condannato in via definitiva dalla Cassazione?), mi sa che produrrà il crollo del consumo di democrazia. E va bene che trangugiamo tutto senza fiatare, compresa la sospensione dei lavori della Camera, ma conviene davvero? Diventare "kazakistani" è davvero utile?

martedì 16 luglio 2013

L'orango offeso

Data la mia passione per le scimmie, che troneggiano tenere sul desktop del mio computer, in qualità di diretta discendente mi sento parte in causa. Non fossimo tristemente assuefatti a questo indegno livello di discussione, dovremmo reagire, in qualche modo, più di quanto non facciano il governo, il parlamento, la stampa e tutta l'accaldata e inerte compagnia di giro. Il mio contributo, qui, è modesto. E forse troppo modesto è stato in questi vent'anni, permettendo a maiali e papponi non tanto di ridurre in briciole il mio Paese, non tanto di impoverirlo economicamente, culturalmente ed eticamente, quanto di farcelo tollerare. E' questo che non ci dobbiamo perdonare. Altro che offendere gli oranghi.

lunedì 15 luglio 2013

Non sparga la voce

Fra i propositi di questo blog, c'è quello di segnalare luoghi o iniziative interessanti. In realtà io un posto da consigliare ce l'avrei, ma non posso. L'ho promesso.
E' un grazioso campeggio, sulle rive erbose di un fiume che confluisce in un lago. Ci vado in estate per respirare e per aggiustarmi, perché il panorama in sé è favoloso: alle spalle le montagne, ieri ancora innevate, di fronte una riserva naturale con l'acqua verde, i cigni, le folaghe, le alzavole e pettirossi... Poi, per chi vuole, c'è la piscina (io la voglio), la canoa per vedere gli uccelli da vicino; per i più pigri il pedalò. Insomma, un Paradiso.
Finalmente ho capito perché in luglio e agosto la signora mi dice sempre che non c'è posto per il fine settimana: non vuole gli italiani. Me l'ha proprio detto, in faccia, senza più remore, visto che il posto c'era, eccome... Dopo quattro anni per me ha fatto un'eccezione. La sua è un'enclave di stranieri, inglesi, olandesi e qualche tedesco, che arrivano per passaparola. Ieri gli unici italiani eravamo noi, accomodati fra tende abitate da famiglie di alti e biondi, e roulotte gigantesche in arrivo dalla Perfida Albione, con stuoli di ragazzini silenziosissimi, su monopattini e biciclette da escursionismo di pari valore delle automobili che le hanno trasportate. Alle sei di sera i foresti mangiano e poi leggono, tutti, indistintamente, fin quando fa buio, quando accendono le candele sui tavolini. Ormai la maggior parte di loro ha fra le mani un e-reader, ma c'è ancora qualche affezionato della cellulosa con il volumone di carta; se ne stanno stravaccati su sdraio fantascientifiche a righe bianche e blu, tutte uguali e tutte invidiabili e gli adulti hanno anche un calice (un calice!!) di vino sul tavolo... Quest'anno va di moda il divano gonfiabile, un enorme coso blu a tre posti che se lo dispieghi si trasforma in letto matrimoniale, parcheggiato fuori dalla tenda.  Persino i cani sono taciturni (forse non leggono, ma ripassano a memoria una poesia...). 
Ovvio che in un contesto simile non siano benvenuti gli italiani, maleducati, urlatori, sporchi, irrispettosi, che riducono i bagni come cloache e tengono acceso per mezz'ora il motore del camper (lungo oltre 8 metri, mansardato, con due dinette e "doccia separata"... per coppia con bambino piccolo), che sgasa sul tendino dei tedeschi... E i cui cani abbaiano di continuo.
Insomma, sono riuscita a entrare nell'élite ammessa alla vacanza en plein air in alta stagione. Chissà come mai... forse perché leggo l'e-reader e non sporco. O forse per tenacia.
E d'altra parte, l'anno scorso, il gestore di un campeggio simile in Valtellina ha risposto così ai miei complimenti e alla mia proposta di mettere un feedback positivo sui siti frequentati dai campeggiatori... "Grazie, ma preferisco non fare pubblicità in Italia: ho la mia clientela del Nord Europa, va bene così... lei è benvenuta, ma non sparga la voce".

Nota a margine: nuotare da soli, con il Nilox nelle orecchie e "Mercy Street" di Peter Gabriel, è un'esperienza che sfiora l'estasi.

mercoledì 10 luglio 2013

Hören Sie und ergänzen Sie (Ascolti e completi)

Questo post è dedicato a una persona. Nella vita capita di camminare accanto a qualcuno per un tratto di strada. Piccole passeggiatine, eh? Niente di straordinario, nella specie un paio di volte a settimana. Ci accomuna un interesse, un lavoro, una vacanza, oppure il caso. Il caldo in estate, il gelo in inverno, il buio quasi sempre: insieme al corso di tedesco, portato a termine con pervicacia. In mezzo, la quotidianità, le elezioni, il papa, le preoccupazioni, il lavoro, la tv. Qualche risatina isterica, da scolaretti impreparati, sguardi svogliati, compiti copiati, pettegolezzi, libri letti, mail piene di agitazione per l'esame di fine anno, i trucchi per passarlo, la stanchezza, qualche battutina impietosa sul vicino di banco che resta indietro. 
L'afa di questi giorni non ci ha fermato: l'anno prossimo, si ricomincia a camminare, ci siamo iscritti di nuovo, livello avanzato, roba da grandi. Se ce l'ho fatta, lo devo al mio "compagno di tedesco". Lui sì che ascolta (e ricorda), e non solo il tedesco. E pensare che diciamo sempre che "l'ascolto non è il nostro forte"... 
Schöne Ferien mein Freund.


martedì 9 luglio 2013

Baci di ringhiera

Nella casa di ringhiera che condivide il cortile con la mia, abitano molte famiglie, di varie etnie. Un paio sono italiane, alcune del Bangladesh, altre pakistane. C'è anche un gruppo di maschi adulti egiziani (pizzaioli e muratori). Spesso in cortile risuona la loro vita quotidiana, dai litigi furibondi alla musica lirica, dalle nenie arabe alle colonne sonore dei film di Bollywood. Le telecronache delle partite di ogni sport nazionale esaltano o deprimono gli umori grazie a una delle decine di parabole appese con sistemi artigianali alle ringhiere o in bilico sui coppi. Capita che la sera un paio di aspiranti musicisti suoni il tamburo fra gli applausi di tutti, finché qualcuno del mio condominio urla esasperato "Basta!!" (in genere dopo l'una, devo ammettere...).
Al terzo piano, quasi di fronte a me, vive una numerosa famiglia marocchina: ogni anno nasce un altro bambino, anzi, un'altra bambina. La più grande avrà ormai 7-8 anni, indossa l'hijab e bada alle più piccole durante le molte ore che trascorrono insieme sul balcone, non appena la temperatura lo consente (e anche quando non lo consente). Giocano rincorrendosi, oppure spingendosi su vecchie biciclettine o un triciclo, chiacchierando, muovendosi allegre con le bambole in mano lungo i pochi metri compresi fra le scale e il cesso in comune. Sì, perché al civico 12 ci sono ancora i cessi in comune, uno per piano: turche dalla porta di legno ad uso degli inquilini, adulti e bambini, italiani e stranieri, con o senza permesso di soggiorno: il cesso (ci) accomuna tutti quanti. 
La ragazzina con l'hijab a volte corre sul ballatoio ridendo con la sorellina più piccola in braccio, un fagotto di pochi mesi sballottato ad altezza della ringhiera: quando la vedo, il cuore mi schizza in gola, mi assale il terrore che le cada di sotto ma non trovo il coraggio di richiamarla. La mamma si vede poco, il papà mai. Ci sono, ma non si vedono. 
Quando esco o stendo la biancheria, le bambine ed io ci salutiamo sempre con la mano e una di loro mi manda dei baci. Sono baci bellissimi.





sabato 6 luglio 2013

Sabbia fra le mani


Oggi Francesco Merlo se la prende con la globalizzazione delle botteghe, che hanno devastato le città di tutto il mondo uniformando offerte, colori e odori. Penso a rue de Rosiers, stravolta da negozi monomarca di vestiti che hanno fagocitato anche Jo Goldemberg’s. E chissà per quanto resisterà la mia panetteria… 



mercoledì 3 luglio 2013

Seguire le procedure



In perfetto stile italiano, il mio Paese ha risposto alla richiesta di asilo di Edward Snowden obiettando sulle procedure adottate. Prendendo tempo, come sempre da mesi su ogni argomento, più o meno vitale. 
Intanto vediamo come butta con gli altri... magari se lo prende il Venezuela e noi non ci siamo esposti né con un sì né con un no. E poi nemmeno Hollande lo vuole, insomma... Se non se lo carica la Francia, che non chiude le porte in faccia a nessuno...

“Dal punto di vista giuridico, secondo la normativa vigente, ogni cittadino non comunitario, per fare richiesta d'asilo deve essere presente sul territorio dello Stato a cui lo chiede”.
Scusi, signor Snowden, il fax non va bene: ci vuole la raccomandata; anzi, la raccomandata con ricevuta di ritorno; anzi, la richiesta va fatta su carta bollata; ah, si ricordi i testimoni (e la fotocopia dei loro documenti); però non ha allegato la fotocopia del suo, di passaporto; la data dev’essere antecedente all’ultimo visto di entrata nella Federazione Russa: ma lei dove si trova, esattamente? Mi spiace, oggi l’ufficio è chiuso per sciopero. Mi spiace, ma in questi giorni l’impiegata è in ferie; eh… sapesse quante pratiche come la sua abbiamo qui da smaltire… hanno ridotto l’organico, sa, la spending review…. Richiami domani, quando c’è l’addetto. Ma scusi, non gliel’avevo spiegato? Deve proprio venire personalmente. Telefoni per un appuntamento.

Povero Snowden, ma ha ragionato prima di chiedere asilo al mio Paese? Ma è sicuro di voler venire qui? E se poi ha bisogno di un certificato?

domenica 30 giugno 2013

Blog tardivo


Oggi aprire un blog è ormai un’idea superata. Anzi, è un’idea fuori dagli schemi. 
Visto però che c’è un tempo per ogni cosa, questo è il mio tempo. 
Capita che mi lasci andare a una riflessione, che scatti qualche foto, che legga qualcosa di interessante, che veda una scena che mi colpisce: mi piacerebbe appendere una nota sull’anta della credenza, in cucina. Forse pubblicarla su un blog è più facile e così chi passa, anche senza bere un caffè da me, può fermarsi a guardare e commentare, suggerire o criticare (poco, sono permalosa). 
Non si tratta di un blog a tema, perché è troppo autoriferito, e poi un singolo argomento stanca. Insomma, iniziamo così. 
Poi si vedrà.