Bicocca

Fausto Melotti, La sequenza, Milano
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domenica 26 novembre 2017
Stai con la gente tua
Chi ha amato Paolo Volponi non può non lasciarsi av-volgere e tra-volgere dal flusso di memoria e riflessioni di Giorgio Falco, in "Ipotesi di una sconfitta". Forse tra i libri più belli che ho letto nella maturità, un viaggio dentro se stessi e nelle interiora di un Paese decomposto dalle radici, quarant'anni di storia del lavoro e di crescita o stallo individuali, di resilienza, di fatica, di tentativi, di sfinimento e forse, infine, di resa. Se non fosse lui, sarei io. Lo scrittore alla fine diventa scrittore, sopravvissuto (per ora?) al sistema che non lo riconosce e lo espelle come corpo alieno, nonostante la pervicacia nella sopravvivenza. "Stai con la gente tua", diceva Frank McCourt nelle "Ceneri di Angela", e quanto è vero, maledizione. Resta lì, giù la testa, con il tacco violento della condizione sociale che preme sulla tempia. Falco dà sostanza alla parola impronunciabile perché ormai assurta ad altro: umiliazione. La scrittura è magnifica, come l'analisi del mondo del lavoro, metafora della vita intera già scritta, o lo sguardo amaro e dolorosamente cinico, quasi umoristico, che pervade ogni pagina. Non è un libro per giovani. E' l'ipotesi struggente e vera di una sconfitta.
giovedì 8 settembre 2016
Deutschland über Alles # 05 - Immigrati
Dunque, la Merkel s'è presa la sua batosta proprio a casa sua, grazie a una sfrenata battaglia contro l'accoglienza degli immigrati e proprio lì dove io non ho visto nemmeno un immigrato (dicono che in realtà ci siano tanti polacchi, su all'Est) .
Non li vogliono. Né poveri né rifugiati né bianchi né neri né sfaticati né lavoratori né colti né ignoranti. Non li vogliono e basta.
Anche dove, apparentemente, non tolgono niente a nessuno, come in Meclemburgo-Pomerania.
Anzi, non li vogliamo, questa è la verità.
Però, così come per tutta l'estate a Milano c'è gente che ha portato abiti e viveri all'Hub della Stazione Centrale o nei centri di raccolta, così anche in Germania c'è gente che la pensa in un altro modo.
Non so quale sia la strada giusta e non mi interessa molto conoscere quale sia il margine di benessere erodibile in Germania o in Italia o In Francia. Non so nemmeno se questo sia percepito o reale; immagino che le migrazioni siano inevitabili, al contrario dei conflitti e dei profitti.
In linea di massima mi confortano le immagini che seguono, per un istintivo principio di umanità e di giustizia.
Poi lo so, non è così semplice.
Non li vogliono. Né poveri né rifugiati né bianchi né neri né sfaticati né lavoratori né colti né ignoranti. Non li vogliono e basta.
Anche dove, apparentemente, non tolgono niente a nessuno, come in Meclemburgo-Pomerania.
Anzi, non li vogliamo, questa è la verità.
Però, così come per tutta l'estate a Milano c'è gente che ha portato abiti e viveri all'Hub della Stazione Centrale o nei centri di raccolta, così anche in Germania c'è gente che la pensa in un altro modo.
Non so quale sia la strada giusta e non mi interessa molto conoscere quale sia il margine di benessere erodibile in Germania o in Italia o In Francia. Non so nemmeno se questo sia percepito o reale; immagino che le migrazioni siano inevitabili, al contrario dei conflitti e dei profitti.
In linea di massima mi confortano le immagini che seguono, per un istintivo principio di umanità e di giustizia.
Poi lo so, non è così semplice.
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Berlino |
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Amburgo (Nessun essere mano è illegale) |
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Amburgo |
venerdì 26 agosto 2016
Deutschland über Alles # 02 - Il senso dei tedeschi per la DDR
Allora. A cavallo degli Anni ’90, la Germania dell’Ovest si
è comprata ai saldi quella dell’Est, con annessi e connessi. I tedeschi dell’Ovest
han detto a tutti che quelli dell’Est erano dei pezzenti, tutti spie (o quasi),
schiavi e/o complici della Stasi, ignoranti e lazzaroni, mantenuti dallo Stato,
arretrati culturalmente. Eroe chi scappava, vile e comunista (d’apparato, anche…)
chi non ci provava.
Da quando hanno picconato il Muro sia quelli dell’Ovest sia quelli dell’Est si sono prodigati più o meno amichevolmente per cancellare ogni traccia del passato, demolendo edifici (soprattutto) e attribuendo ogni elemento funzionale all’etica socialista reale, brutta e cattiva. I tedeschi dell’Ovest hanno cambiato persino l’aspetto di quelli dell’Est, li hanno impiegati in posti statali (nelle scuole, per esempio… erano bravi insegnanti di tedesco e matematica), oppure li hanno messi a produrre in fabbrica, assimilandoli ai turchi. Con un generico sguardo commiserevole li hanno tenuti lontani dai posti di comando. Fino alla Merkel, che avrà piazzato i suoi sodali là dove era utile. E si sa, una buona dose di esperienza organizzativa serve sempre.
Da quando hanno picconato il Muro sia quelli dell’Ovest sia quelli dell’Est si sono prodigati più o meno amichevolmente per cancellare ogni traccia del passato, demolendo edifici (soprattutto) e attribuendo ogni elemento funzionale all’etica socialista reale, brutta e cattiva. I tedeschi dell’Ovest hanno cambiato persino l’aspetto di quelli dell’Est, li hanno impiegati in posti statali (nelle scuole, per esempio… erano bravi insegnanti di tedesco e matematica), oppure li hanno messi a produrre in fabbrica, assimilandoli ai turchi. Con un generico sguardo commiserevole li hanno tenuti lontani dai posti di comando. Fino alla Merkel, che avrà piazzato i suoi sodali là dove era utile. E si sa, una buona dose di esperienza organizzativa serve sempre.
Insieme poi, i tedeschi tutti hanno pensato, secondo un
rodato ingegno capitalista, di far fruttare il marchio DDR, con musei in quasi ogni
città dell’Est, possibilmente nella locale sede dell'Ufficio del Ministero di
Sicurezza dello Stato, nei quali hanno esposto merce di vario genere che a noi ricorda quella degli Anni ’50 invece risale agli Anni ’80 (sai che reperti!), foto di
Honnecker che stringe la mano a Gorbaciov, esempi di lugubri sistemi di controllo dei
media, parrucche, pance e occhiali finti per i pedinamenti della polizia segreta, oggetti
da campeggio, timbri postali, materiale di reclutamento per informatori, bandiere,
ricostruzioni di celle per interrogatori, cassette Basf per registrazioni
telefoniche, pezzi di muro di Berlino, caschi asciugacapelli da parrucchiere, masserizie
di uso comune, tappeti di lana inneggianti all'unità dei lavoratori (questa sconosciuta). Danno anche un finto visto d'entrata nella DDR e per soli 2 euro (!) aggiuntivi, si possono scattare fotografie.
A margine delle istituzioni, singoli privati vendono in
strada maschere antigas e colbacchi, indumenti militari, spillette, robe così. Saggi del regime a pochi euro, disponibile per tutti. Ai turisti noleggiano persino le Trabant. O le espongono,
insieme a pezzi di motore.
Ché si sa, il comunismo è sconfitto, l’individuo trionfa e soprattutto pecunia non olet.
Capitolo a parte, che merita non poco, è quello dell’edilizia.
Dato per certo che i “casermoni socialisti” sono brutti, dove è stato possibile
(o conveniente o necessario) li hanno rasi al suolo. E continuano a farlo. Oppure
li hanno dipinti con colori pastello, per cancellare il “grigiore”, ideologico
prima che cromatico. Perciò, sfrecciando in bicicletta a Dresda si vedono enormi
ruspe che inghiottono una roba di 6/7
piani di cemento armato con finestroni quadrati. Chissà chi
ci ha lavorato o abitato (dal punto di vista architettonico la funzione è
spesso indistinguibile). Oppure, appena fuori dal centro di Lipsia, si
attraversano quartieri un po’ anonimi, i famosi blocchi abitativi che, per quanto orripilanti, non hanno niente a che vedere con alcune periferie
italiane (il milanese quartiere Gratosoglio ne è un esempio).
Qualcosa è rimasto in piedi per disattento rispetto per passato, per criteri economici o
perché neanche le bombe strategiche degli Alleati ne hanno avuto ragione. Non
si sa a chi credere. In ogni caso, in un paio di decenni il processo di
rimozione, almeno all’apparenza, ha funzionato.
Le persone, invece, quelle son difficili da cancellare.
Soprattutto i vecchi (tanti, forse perché siamo in estate). Hanno proprio uno sguardo diverso, una postura
diversa, un modo di vestirsi diverso. Hanno anche un tedesco diverso, più
asciutto, più aspirato, più aggressivo. Sono gentili, ma l’atteggiamento è
ancora quello di chi non si fida (sempre i vecchi). Efficienti nelle loro
professioni, pubbliche o private, ma poco inclini alla chiacchiera. Forse è
anche un retaggio prussiano. Così, a prima vista, non sembrano immensamente più
felici di quando li ho incontrati nel 1988. I colori sono gli stessi. Molto ingenuamente, mi chiedo se
bastino le ruspe e l’ostensione delle reliquie sovietiche per costruire una
società felice, ammonendo i posteri. Se omologare il consorzio umano buttando via tutto, si possa definire progresso. Così, dal Baltico a Lubecca, dal Magdeburgo a Usedom, il rigore
formale si accompagna a una strana idea di rinnovamento, una passata di
candeggina su trent’anni di storia. Adesso, nonostante l’economia fiorente e la
disoccupazione al 6,1%, la posizione dominante e tutto il resto, in Germania come ovunque i poveri sono
davvero poveri e i ricchi davvero ricchi. I giovani neanche lo sanno, com'era solo pochi anni fa. E poi ci
sono gli immigrati: appunto, dove sono? Non qui.
(Berlino, è un caso a sé. E quindi richiede una riflessione a sé.)
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