Bicocca

Bicocca
Fausto Melotti, La sequenza, Milano

domenica 27 aprile 2014

Un bel dì vedremo

Teatro La Fenice, qualche giorno fa. Volevo solo entrare a godermi il rosso e l'oro e l'azzurro della volta... Ma c'erano le prove della Madama Butterfly, in programma la sera. Se vuole... può assistere. Ho voluto. Due ore di tumulto e una struggente malinconia che mi ha ricordato una voce che non canta più e che solo in quel modo comunicava con la mia parte buona e intatta, mille anni fa.
Un po' per celia e un po' per non morire, proprio così. Il coro muto ha finito il lavoro. "Bravissimi!", ha detto il direttore (Giampaolo Bisanti), con addosso una maglia scura, "Grazie signori, perfetto!". Perfetto.



mercoledì 16 aprile 2014

Quello dal cuore urgente

È passato più di un anno. Il tempo necessario perché ne possa parlare senza piangere. Quando Enzo Jannacci è sceso dal tram, pioveva. La mattina dopo, mentre andavo a fare la spesa, ho fatto una deviazione per passare davanti alla clinica Columbus, per salutarlo. Era presto, un po' di gente della mia età e anche più vecchia arrivava con l'ombrello e i mazzi di fiori, l'anima sfatta, proprio come me, che invece mi sono fermata lì di fronte, in macchina, senza scendere. Quando ci penso sento il male che torna su, anche se non era una persona a me cara, nel senso comune. Ma era la mia unica piccola infanzia buona, il primo 45 giri che mi ha regalato mio papà, "Ho visto un re" e il sovversivo lato B, "Bobo Merenda" (meglio non raccontare, meglio). E poi "Vengo anch'io", cantata a squarciagola nei secoli dei secoli, e "Vincenzina e la fabbrica", e "L'Armando", e "Giovanni il telegrafista" (con quell'aggettivo bellissimo, "ellittico"), e poi lo strazio infinito di "Io e te". E di "Ti te se no".
No, riesco ancora a parlarne senza piangere. Ma glielo dovevo, 'sto pensiero.

Giovanni telegrafista, quello dal cuore urgente,
non disse parola, solo le rondini nere
senza la minima intenzione simbolica
si fermarono sul singhiozzo telegrafico
Alba è urgente.

sabato 5 aprile 2014

Il nuovo paradigma di Silvia

Silvia in poco tempo ha perso due cose: il lavoro e la mamma. Son due cose grandi, da perdere. Insieme, poi... 
Silvia ha poco più di 50 anni, è una donna in gamba, ha una famiglia, le idee chiare. 
Silvia era molto brava, al lavoro. Era una ricercatrice. Una di quelle su cui puoi contare, sveglia, precisa. Insieme a molti altri è stata buttata via, come una ciabatta che non serve più. Perché oggi funziona così e ormai sta diventando normale, e non ci stupiamo neanche più, perché questa stagione del mondo ha falsato ogni metro di giudizio, ha raso al suolo vite e dignità come un tornado. Si tira solo avanti, ed è già tanto.
Anche la mamma di Silvia era brava. Aveva superato tutto, "la guerra e l'inquinamento", poi è ridiventata figlia, come spesso accade, e Silvia l'ha accompagnata fino in fondo, come spesso accade.
Quando le sue giornate si sono svuotate, Silvia si è chiesta cosa fare. Ha deciso di applicare la sua capacità di sintesi per dare un senso alle macerie e non fissarle con il cuore devastato. Ha preso il suo nuovo tempo e l'ha consegnato alla LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, www.lilt.it), ha cambiato nome alla sua intelligenza e ha iniziato a dare una mano a chi si sente perso, a cercare e trovare competenza, dal basso, ogni martedì e poi di più, e poi insieme ad altre persone e poi e poi...
Mi ha detto che si "è presa una pausa" dalla vita precedente, che ora tutto rinasce in lei, che non sa se riuscirà a trovare un lavoro, che non si possono più fare programmi a lungo termine e questo è proprio vero; che lei può aspettare (per fortuna).
E per fortuna davvero qualcuno, mentre varca la porta dell'indicibile, la può incontrare, sorridente, e sentirsi meno solo.

mercoledì 2 aprile 2014

Hey Jude... Non peggiorare le cose

Lo ammetto: a me i cani proprio non piacciono. Li guardo malvolentieri, non li tocco mai, non mi ispirano simpatia... Però qualche giorno fa sono capitata sul lago di Caldonazzo. Cioè, ci sono andata in missione per conto della mia felicità. Lì, sulla spiaggetta d'erba, trotterellava una cagnetta di quelle che io definisco "con la pelle". 
I giovani nuovi padroncini non avevano occhi che per lei. Mi sono avvicinata (!!) e ho chiesto se potevo fotografarla. I padroni dei cani li amano e ne sono orgogliosi come se fossero dei figli, si sa. Mi fa sempre specie, ma è così. Ho chiesto alla ragazza come si chiamasse 'sto cane. "Jude", mi ha risposto. E io, ovviamente: "Ah, come Hey Jude". 
E qui, la sorpresa: occhi lucidi di gioia, la pulzella mi urla estasiata: "Lei è la prima che l'ha capito! Che bello! Finalmente!".
E io ho tristemente realizzato, nell'ordine, che: 
- i Beatles sono preistorici;
- io sono un Camarasaurus (rettile diviso in compartimenti);
- è giusto che passi da un Volkswagen California a un furgonato perché sto entrando nella terza fase della mia vita, non sono più una Figlia dei Fiori, quasi non sono più neanche una figlia. E quindi mi devo piegare alle comodità del furgonato. Furgonato che mi vien voglia di chiamare "Heyjude", tutto attaccato.
- Don't make it bad.