Bicocca

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Fausto Melotti, La sequenza, Milano
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giovedì 14 gennaio 2016

Perché il classico apre la mente

In fondo chi c'è passato se lo ricorda. Per esempio, non conoscevamo il concetto di vita sociale. Quindi, ora che molta della vita sociale si è spostata sui social media, sorrido alla nascita di gruppi di buontemponi che vivono l'esperienza del liceo classico nell'era di fb e tumblr et similia.
Santiddio, com'è vero...




lunedì 11 gennaio 2016

Space Oddity (forever)

Ecco, un altro pezzo che si stacca. E lo so, l'età, il cancro, gli stravizi, la droga, tutto. Devo abituarmi. Adesso lo spazio è meno strano.

Far above the Moon
Planet Earth is blue
And there's nothing I can do.

lunedì 7 settembre 2015

Bitmap # Percezione/02

Non ricordare nulla, ricordare qualcosa, ricordare tutto.

Monkey World Ape Rescue Centre, Wareham, Dorset, UK (agosto 2015)

giovedì 27 agosto 2015

La verità, vi prego, sulla gioia

No, dico: è chiaro perché non capisco più niente quando le vedo?
La prima è un cucciolo; e anche l'ultima, che dorme, con il muso fuori.
La seconda e la terza sono due amiche.
Io sono la quarta: riconoscibilissima.
Chiedo scusa a tutti, le foto delle vacanze sono un tedio... 










giovedì 13 agosto 2015

Screenshot # 07 - Joan Baez

E quindi basta, devo lasciare quello che vince a mio giudizio il Premio per il Più Bel Campeggio Panoramico del Mondo. A parte che qui in Cornovaglia ogni negozio che vende "pasties", cioè dei fagotti di pasta simil frolla ripieni di carne e altri ingredienti indigeribili, ha montata l'insegna del Miglior Produttore di Cornish Pasties del Mondo. Quindi ognuno si senta libero di assegnare il riconoscimento a quello che vuole, dal Miglior Libro di Poesie alla Migliore Muta da Sub del Mondo.
Sono le nove di sera e attraverso lentamente il prato di due acri (secondo loro sono tutti di due acri, i prati dei camping, e a volte sono due o più campi di due acri, cioè non lo riesco a immaginare, in metri quadrati, quanto misurano), e mentre guardo a ovest, le famose linee verde, blu e azzurra, sento la voce di Joan Baez che arriva da un furgoncino, seguita da un vichingo hippy con i capelli lunghi e grigi. Mi viene incontro, scalzo, ovviamente, mi dà la mano, io ho le lacrime agli occhi. Mi chiede se mi piace, sì, che mi piace, sto piangendo dall'emozione... Mi dice di averla vista al Cambridge Folk Festival due settimane fa e io mi commuovo ancora di più mentre gli racconto del concerto all'Arena di Milano del '70, quando ci sono andata con mio papà. Ho l'ellepì, a casa. Ci mettiamo a parlare della guerra del Vietnam, di Bob Dylan, dei sogni, del tempo, dei nostri itinerari, dell'oceano. Poi il sole diventa rossissimo, mai visto un sole così rosso, e se ne va giù, dietro la mia ultima sera di confine. Saluto il gigante capellone, raccolgo tutti i brandelli del mio cuore sparsi sull'erba, e via. Deep in my heart, I do believe, we shall overcome, some day.

venerdì 22 maggio 2015

La California quella vera

La mia mamma aveva una Dyane. Verde. Gliel'hanno rubata e lei ne ha comprato un'altra. Arancione. Ho imparato a guidare con il cambio accanto al volante, con i finestrini che si ribaltavano all'esterno, per metà. Oggi, leggendo orearovescio.wordpress.com/2015/05/18/due-cavalli-un-po-bastardi/, mi sono ricordata di un viaggio io e lei, da sole, all'inizio di agosto di tanto tempo fa, lungo l'Aurelia, da Livorno in giù (non esisteva allora la A12...). Papà, i nonni e mia sorella davanti, in una macchina "normale". Noi con calma, a 90 all'ora, macchina carica di masserizie, partite dopo e arrivate con il buio. Sono stati anni terribili, i miei vent'anni, ma ricordo sorridendo Cecina, e La California (ridemmo tanto... "Mamma, andiamo in California!") e poi una deviazione a Bolgheri, i cipressi, Castagneto e Donoratico... piano, in coda, e poi San Vincenzo. Fu quello, forse, il nostro unico viaggio. Venticinque anni dopo, o forse più, il viaggio insieme è stato molto più lungo e l'ultimo. Senza nemmeno la Dyane.

lunedì 5 gennaio 2015

La colla di Parigi

Non sono in vacanza. Sto incollando i miei pezzi.

Una signora legge in metropolitana, seduta di fronte a me, "La philosophie dans le boudoir". Io avevo 18 anni quando l'ho letto e forse ha ragione lei, serve la maturità per apprezzarlo.

Le tre vie sotto casa sono una riproduzione in miniatura di Shanghai. Nessun occidentale, a parte me, che scendo il giorno di Natale a comprare il detersivo per i piatti. Mi viene la fregola del bok choy, poi mi passa, non ho l'olio per cuocere. Nel supermercato, con piano interrato, non c'è un solo articolo il cui nome sia scritto con le lettere dell'alfabeto. Gironzolo incuriosita, poi uno di loro mi spinge alla cassa. Ha le borse piene di alimentari sconosciuti. Io mi concedo un'enorme tolla di litchi sciroppati.

Al Beaubourg ci sono quattro mostre da vedere: Duchamp, i palloncini di Jeff Koons, Delaunay, Frank Gehry. Mi ci chiudo un pomeriggio. Qui l'arte è davvero accessibile: si può toccare (quasi sempre), fotografare (sempre), sentire, vivere, anche quando non la capisci. Salgo sulla terrazza mentre il sole scende oltre il profilo della mia gioia.

Lo zucchero filato rosa più gigantesco e più buono del mondo lo vendono due vecchi molto lerci (marito e moglie), in prossimità di Place de la Concorde. I ricchi e i turisti si fanno fottere dalle bancarelle più avanti, sugli Champs Elysées. Meglio.

Sabato mi impunto e vado all'As du Fallafel, che ovviamente è chiuso per shabbat. Ripiego su Hannah, crumiri o blasfemi, il fallafel è buono uguale e mi ci ingozzo. Così dopo due giorni ce l'ho ancora lì. Ma perché...?
Tra l'altro, chi ha deciso che il mercato di Richard Lenoir questa settimana non si tiene? Ma sono pazzi! 

Con il buio pago l'esorbitante cifra di 15 euro per entrare al Grand Palais, dove hanno allestito la "patinoire plus grande du monde". I pattini sono inclusi nel biglietto, ma ovviamente non ci penso neanche. Mi lascio impressionare dalle luci psichedeliche, dalla musica, dalle centinaia di pattinatori, dalle volte con le vetrate, dallo spazio immenso che sovrasta la pista di ghiaccio. Sono tutti eccitati, e anch'io, lo ammetto. Maledetto ginocchio.

Domenica sera vado a mangiare le mie sante cozze da Léon, ché la domenica sono "a volonté". Infatti esagero, oltre ogni limite di decenza. Cozze cozze cozze cozze cozze... patatine patatine patatine patatine patatine... 
Tornando a casa, in Square du Temple, due clochard, di quelli veri, mangiano, bevono (molto) e ridono dentro la loro tenda montata sopra la grata della metropolitana, al caldo, si fa per dire. Se non fosse eticamente inammissibile, direi che li invidio.

Ho la netta percezione che in un anno sono invecchiata di dieci, più dei cani. 
- Per girare le ghiere della macchina fotografica devo togliere gli occhiali da miope che devo rimettere subito per inquadrare e scattare, con l'aiutino della regolazione diottrica.
- Il ginocchio a cui ho tolto il menisco ormai non regge più: zoppico vistosamente e le infiltrazioni di acido ialuronico non le posso più fare a causa di un'altra disgrazia. Le scale della metrò sono state una mazzata.
- Mi stanco subito.
- Ho mal di schiena: questo è il peso e non l'età. Porca puttana.
- Ho sempre freddo. Sarà il vento.

La musica è di tutti. Lo pensa anche un pianista di straordinario talento che ha fissato due ruote di una carriola al retro del piano e se lo porta in giro. Suona dannatamente bene, davanti all'uscita delle Galéries Lafayette, fra folle di persone incuranti, poliziotti che dirigono il traffico fischiando come ossessi, qualcuno che si ferma e gli compra il cd. Sorride con una gratitudine sorpresa e mi chiedo: ma è giusto che questo si esibisca sul marciapiede e non in un teatro? Chissà cosa ne pensa. Probabilmente la musica nutre a sufficienza il suo io, non serve altra platea. Mi vergogno del mio pensiero meschino. 

Linda è una cagna orribile, grassa e flaccida, a metà fra un boxer e un carlino, sbava, ha gli occhi grandi, lucidi e buoni, la pelle del muso rosa. Il suo padrone lancia il pane ai gabbiani che svolazzano schifosi sul Canal Saint-Martin. Mi fermo a chiacchierare con lui, che ovviamente assomiglia alla sua cagna buona. Ascolto insieme a lui la mia calma, che da quando sono qui ha soppiantato i cattivi pensieri. Stiamo bene, noi due, guardiamo l'acqua torbida. Salgo sul ponte a fotografare la chiusa, poi scendo, Linda trotterella storta e solleva gli occhi verso i miei; lui se ne va, salut.  

Scendendo da Buttes-Chaumont incrocio rue de Belleville, dove la vita fila veloce. Passeggini, carrelli, borse della spesa, ragazzi, uomini con la tracolla e la giacca aperta, macellai arabi, negozi di frutta e verdura con le zucche e la frutta un po' troppo matura, tutta gente di colore e per lo più povera. La scuola è chiusa, compro il pane, mi siedo su un gradino di un negozio, guardo tutta questa normalità colorata senza visitatori alieni; sono indecisa se vorrei comprarla qui, la casa, o giù, intorno a rue Mouffetard, dove ci sono botteghe che vendono anche le ostriche (che non mangio), perché la gente sta meglio, lì. 
Infatti, guardo i cartelli esposti dalle agenzie immobiliari. Ci sto pensando davvero.

Porto il mio piccolo segreto dentro a Notre-Dame. Ognuno ha il suo.
E molte altre cose.
Fuori c'è vento. Un vento forte, da Ovest. Il mio vento.
Finisce questo tempo, e anche la colla. Ma sto meglio. 
Qui sto sempre meglio.










domenica 21 settembre 2014

Il circo rosso


C'è molto di istintivo e di personale nella mia passione per Marc Chagall.
Non credo di comprenderne davvero le ragioni, ma il mio cuore vibra e vola e sanguina davanti ai suoi colori e ai suoi simboli ricorrenti, all'anelito di libertà, al sogno, alla fuga, all'amore. Rincorro le sue tracce da tutta la vita, in ogni museo, in ogni città.
Un disegno, un quadro, una vetrata. E ancora mi commuovo, davanti al Circo rosso. (Milano, Palazzo Reale, fino all'1 febbraio 2015).



mercoledì 7 maggio 2014

A-social

L'esperienza di far parte di un mondo in comunicazione continua, anche non voluta, è per me faticosa. La mia naturale ritrosia, la riservatezza, il gusto della scoperta, il libero arbitrio, anzi, il concetto stesso di scelta - che mi appartiene caratterialmente - sono messi a dura prova ogni giorno. Dalle continue proposte di Amazon di prodotti la cui traduzione ho cercato su Google per lavoro, alle offerte per vibratori o allungapene o creme di bellezza, ai viaggi in ogni angolo del mondo e in strutture di ogni fascia di prezzo (!), alle finte mail che mi chiedono il numero di carta di credito per verificare non so che: gli spunti per scrivere questo post non mancano e peccherebbero anche di poca originalità, lo so. Ma ultimamente è successo, tardivamente, quello che è capitato a moltissimi fruitori dei social network, di ogni genere: mi hanno cercato i vecchi compagni di classe! Una classe di persone che a mala pena si sono rivolte la parola per 5 anni e che se la vorrebbero rivolgere adesso con un piatto di lasagne davanti, per vedere l'effetto che fa. Non mi è bastato non essere utente di Facebook.
Si comincia con una telefonata (sono ancora sull'elenco, ahimé). Stiamo organizzando una rimpatriata (mioddio che brutta parola...) ecc. Presa alla sprovvista, all'ora di cena, soffocata dalle incombenze, balbetto senza entusiasmo un "ah" e, improvvida, fornisco il mio indirizzo e-mail alla squillante interlocutrice, oggi avvocato.
Segue una prima comunicazione dell'organizzatore, che spiega come l'idea sia nata dai soli cinque individui che dopo decenni sono ancora in contatto.
Colta meno in contropiede della prima volta, rispondo garbatamente che sono contenta di risentirlo (eravamo compagni anche alle elementari, diciamo che non sono prevenuta), ma esprimo le mie perplessità sul senso di spendere una serata  con persone che non vedo da così tanto tempo e di cui non ho sentito la mancanza. E che, parimenti, non hanno sentito la mia, di mancanza. Altrettanto cortese, l'organizzatore mi invita a riconsiderare l'iniziativa in modo positivo e mi assicura che mi terrà aggiornata sulla ricerca ("che è più divertente della scoperta"). Cosa ci sia di divertente nello scovare pezzi di passato remoto con cui non si ha più nulla a che fare da un'eternità, non lo so.
E da quel momento, signori miei (come dice il giovane Renzi), si innesca lo spamming, quello vero. Mai diretto a me personalmente, però: piano pianino gente di cui non ricordo nemmeno il nome (sono sconcertata: buio pesto! Com'è possibile che non abbia ritenuto che pochi volti?), "risponde a tutti" dicendosi felicissima e curiosa, ben trovato a Tizio, ben tornato a Caio...
Gira anche un file di Excel con nomi e cognomi, indirizzi e-mail, cellulari, tutti dati sensibili che mi spaventa anche solo leggere.
In casa l'evento suscita un dibattito critico. Qualcuno sostiene che io mi vergogni "della mia vita di merda" (ma figuriamoci! con il mio gradiente di superamento delle prove anche l'amministratore delegato di una certa compagnia di assicurazioni o il magistrato che partecipano a questo assurdo gioco scomparirebbero in un secondo! Mi piace vincere facile...). Qualcuno si stupisce che non provi nemmeno un po' di curiosità per sapere com'è andata a finire (no, non la provo). Qualcuno dice, più verosimilmente, che non mi va di elencare la sfilza di "inciampi" che mi sono capitati, a fronte di successi magari inaspettati. Insomma, mica tanto inaspettati: la mobilità sociale di questo moribondo paese è quella che è: siamo rimasti tutti al nostro posto, chi su e chi giù dalla scala. Amen. Io, per onestà, aggiungo alle motivazioni che non voglio rivedere una certa persona, che però al momento è ancora nella lista dei dispersi, per fortuna.
Sono fatta così, caccio via dal mio circolo sentimentale privatissimo chi mi ha ferito, e il bando è senza scadenza. Nella migliore delle ipotesi perdo l'interesse, ma anche il sempiterno risentimento ha la sua importanza, lo ammetto. 
E così si va avanti, per settimane. L'unica compagna/amica con cui sono in contatto (persa e ritrovata) condivide il mio pensiero e quindi ogni tanto ci scappa una risatina. Lei si ricorda di un tale che oggi è violinista, io trovo due vecchie foto in cui non riusciamo a identificare almeno sei o sette persone, e ci sembra che ci sia anche un intruso: quello piccolo, moro, non era di terza? Emergono brandelli di notizie e di ricordi, gente incontrata per caso in metropolitana, o in un negozio, negli anni: una forse ha adottato un figlio, quell'altra ha preso anche la maturità magistrale e insegna alle elementari, due si sono sposati e poi separati, molti sono diventati fenomeni, ovviamente (date  le premesse di ceto), e quello che mi piaceva ora lavora in banca, è ancora un bell'uomo. L'ho riconosciuto in un video su Youtube (allegato alla sua mail) solo dal suo sguardo. Aspetto ancora che "mi faccia sapere"... La ciellina invece è ancora molesta; la secchiona è finita immeritatamente a fare un lavoro d'archivio, ed era così brava... poverina. C'è anche il solito polemico, che offende il mittente di una mail in cui in calce c'è l'invito a versare il 5 per mille a un'università privata. Già, perché a parte pochissimi, tutti scrivono dal loro indirizzo del lavoro: isitituti bancari, ministeri, aziende varie, studi legali, studi di architettura, studi non si capisce di che, università. I @gmail.com e gli @yahoo.it sono due o tre. 
Ormai la data è certa, come il ristorante e tutto il resto.
Ieri ho ricevuto la prima e unica mail scritta a me personalmente (a parte quella dell'organizzatore): la ragazza che sedeva nel banco davanti mi scrive "per convincermi a partecipare" (sic!) e per chiedermi i riferimenti dell'unico che davvero non sono disposta a rincontrare, a nessun costo. Per educazione butto lì due righe: no, non so che fine abbia fatto (o forse sì, ma direi che non importa, a questo punto) e no, non vengo, preferisco ricordare tutti com'erano. 
Da vivi, mi vien da dire.


domenica 27 aprile 2014

Un bel dì vedremo

Teatro La Fenice, qualche giorno fa. Volevo solo entrare a godermi il rosso e l'oro e l'azzurro della volta... Ma c'erano le prove della Madama Butterfly, in programma la sera. Se vuole... può assistere. Ho voluto. Due ore di tumulto e una struggente malinconia che mi ha ricordato una voce che non canta più e che solo in quel modo comunicava con la mia parte buona e intatta, mille anni fa.
Un po' per celia e un po' per non morire, proprio così. Il coro muto ha finito il lavoro. "Bravissimi!", ha detto il direttore (Giampaolo Bisanti), con addosso una maglia scura, "Grazie signori, perfetto!". Perfetto.



mercoledì 16 aprile 2014

Quello dal cuore urgente

È passato più di un anno. Il tempo necessario perché ne possa parlare senza piangere. Quando Enzo Jannacci è sceso dal tram, pioveva. La mattina dopo, mentre andavo a fare la spesa, ho fatto una deviazione per passare davanti alla clinica Columbus, per salutarlo. Era presto, un po' di gente della mia età e anche più vecchia arrivava con l'ombrello e i mazzi di fiori, l'anima sfatta, proprio come me, che invece mi sono fermata lì di fronte, in macchina, senza scendere. Quando ci penso sento il male che torna su, anche se non era una persona a me cara, nel senso comune. Ma era la mia unica piccola infanzia buona, il primo 45 giri che mi ha regalato mio papà, "Ho visto un re" e il sovversivo lato B, "Bobo Merenda" (meglio non raccontare, meglio). E poi "Vengo anch'io", cantata a squarciagola nei secoli dei secoli, e "Vincenzina e la fabbrica", e "L'Armando", e "Giovanni il telegrafista" (con quell'aggettivo bellissimo, "ellittico"), e poi lo strazio infinito di "Io e te". E di "Ti te se no".
No, riesco ancora a parlarne senza piangere. Ma glielo dovevo, 'sto pensiero.

Giovanni telegrafista, quello dal cuore urgente,
non disse parola, solo le rondini nere
senza la minima intenzione simbolica
si fermarono sul singhiozzo telegrafico
Alba è urgente.

mercoledì 25 settembre 2013

Via Caprilli

Eccoli qua i quadri dei ragazzi terribili che colorano questa città senz'anima. L'ippodromo e i suoi cavalli da corsa sono stati per me solo una tangente temporanea. Riemergono ora inaspettatamente dal muro di cinta
di via Caprilli, trasformati e insidiati dalle ombre degli alberi
e dai benpensanti, che non li vogliono. Un chilometro di lingue rosse
e viola e gialle, volti inquietanti, bocche spalancate e fumi rabbiosi;
viene voglia di tornare a vederli, appena il cielo si incupirà di pioggia
e di inverno. Se ci saranno ancora.