Bicocca

Bicocca
Fausto Melotti, La sequenza, Milano

martedì 9 dicembre 2014

Un paio d'ore con Steve McCurry

Folla di fotografi (quelli veri, non come me, velleitaria ed eterna principiante), allestimento demenziale a dispetto della sede straordinaria (Villa Reale, Monza, fino al 6 aprile prossimo), e una sfilata di idee imperdibili. 
I ritratti non sono le foto più belle, e ho detto tutto. Persino gli scatti per il calendario della Lavazza sono bellissimi. Per alcune immagini si può ascoltare con l'audioguida la storia raccontata da McCurry, che alla fine, anche guardando una sua lunga intervista spezzettata su più monitor, ne esce una bella persona. Il che, se fosse vero (e lo spero), rende tutto perfetto.

http://www.mostrastevemccurry.it/index.html




domenica 7 dicembre 2014

Sant'Ambrogio di ogni giorno

Io, in questa città, in questo Paese, in questo mondo intero, ciondolo persa, spettatrice nemmeno sbigottita. Ma com'è possibile?

In 50 metri di percorso, oggi, Sant'Ambroeus, ore 13, ho incontrato:

- La mia vicina di casa che mi è venuta addosso perché camminava messaggiando sul cellulare. Scusa scusa... Scusa un cazzo, guarda dove vai!

- Un gruppo di signore un po' cotte davanti alla Casa per Musicisti Giuseppe Verdi che si salutavano chiocciando e una diceva: "Ma quanti anni haaaaii?".
"Quarantadue". 
"Ma sai che non si direeeebbe?" 
Si direbbe eccome, ciccia, avrei commentato, se alla fine non mi fossero anche rimaste simpatiche, lì, la domenica mattina, a sentir della musica suonata da ottuagenari semirincoglioniti... Facevan del bene, dopo tutto. Anche a se stesse.

- Mastodontico ragazzo senegalese che vendeva accendini e braccialetti e incensi e calzini (!!) sempre sorridendo. Lui sì che è un bel vedere...

- Numerose famigliole borghesi orrende con montone e borse di Gucci che si recavano al ristorante a pranzo, con figli piccoli pattinatori e monopattinatori vestiti da Gemelli; maleducati e per nulla sorridenti, né loro né i loro genitori. Che il senegalese gli dovrebbe fare da tutor, per dire...

- Coppia di fighetti uso "Milanese Imbruttito" (cfr. pagina fb apposita), che aveva di sicuro fatto l'albero e quindi si traduceva alla Fiera degli Oh bei Oh bei, "...ché a quest'ora c'è meno gente".

- Giovane incappucciato che accedeva furtivo alla sala giochi dove fino a due anni fa c'era Blockbuster. Almeno - anche se prodotti di cassetta - si affittavano i film, non ci si faceva spolpare giocando a poker con le macchinette. Comunque io ci avevo litigato, con quelli di Blockbuster, e avevo gufato...."Finirete tutti a spasso!". E infatti. Ma non perché non sapevano lavorare, come credevo io, ingenua ignorante.

Ma com'è possibile, di nuovo?

Io, con la mia borsa della spesa con le ruote rossa, ho attraversato la strada sorprendentemente di buon umore. Nonostante questo lungo ed estenuante periodo con Saturno e tutti gli altri sempre contro. 




venerdì 5 dicembre 2014

Belle cose # Poesia/01

Sento il tuo disordine
e lo comparo al mio. C’è
somiglianza. C’è lo stesso slabbro
di ferite identiche. C’è tutta la voglia
di un passo largo in una terra
sgombra che non troviamo.
Sento il tuo respiro schiacciato
lo sento somigliante
ti sento piano morire
come me che non controllo
l’accensione del sangue.
Anch’io cerco una libertà che mi
sbandieri, una falcata
perfetta, uno stacco d’uccello
dal suo ramo, quando si butta
improvviso e poi plana.
Mariangela Gualtieri, da Senza polvere senza peso (Einaudi, 2006)

mercoledì 3 dicembre 2014

La vite tagliata

C'era dentro tutto, i libri, la poesia, l'amicizia, i figli, la malattia, la delusione, l'ideologia, la perdita, la morte, la ragione, il dolore. Tutto.
Quindi, alla fine de "La banda del formaggio", io ho pianto tanto, proprio come "una vite tagliata", come dice lui (Paolo Nori).

venerdì 28 novembre 2014

Parole senza volto e senza voce

C'è una corrente di pensiero che sostiene che non bisognerebbe mai conoscere di persona gli scrittori che amiamo, perché l'individuo - in sé - potrebbe deluderci o irritarci. 
La tentazione è tuttavia molto forte, c'è della morbosità: che faccia ha Carrère? come sorride (se sorride) McEwan? quanto è stronzo (se lo è) Carofiglio? Foster Wallace ce lo ricordiamo?
Le parole che ci confortano e che ci comprendono, ci esaltano, ci fanno ridere o piangere, corrispondono alle qualità della persona che le ha scritte? E poi, tutte 'ste marchette in televisione o nelle Feltrinelli di turno, cosa c'entrano con la scrittura?

Ieri, dopo aver letto una cosa, ho scritto a una persona: "Mai letto niente di Paolo Nori?" (secondo me potrebbe scivolargli dentro). Risposta: "Mi è  sempre  sembrato  antipatico". E in effetti, Nori non ispira simpatia. Semmai empatia. Ecco, io quando leggo Nori mi sento travolta dalla sua amarezza e dal suo disincanto, espresso con quel modo lì, quello stile che esonda sempre, una scrittura incontenuta, una massa di idee che passano attraverso il colino delle regole sintattiche, inarrestabili. Insomma, se non disturba, il suo flusso di pensieri è avvolgente, penetrante. Per me è consolatorio, nella sua profonda tristezza.
A suo tempo me l'ha consigliato la mia amica C. cui sono grata, oltre che per milioni di altre cose, anche per questo. Di lui ho letto:

Bassotuba non c’è
Si chiama Francesca, questo romanzo
Grandi ustionati
Pancetta
Noi la farem vendetta
La vergogna delle scarpe nuove
Mi compro una Gilera
La banda del formaggio (quello che stavo leggendo ieri...)
E poi ora è uscito quello nuovo, Siamo buoni se siamo buoni. 

Che è lì, che mi aspetta. Il libro, intendo, perché lui, Nori, non lo voglio né vedere né sentire.



giovedì 27 novembre 2014

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La mia amica F. è una giornalista. Si occupa, con la serietà che la contraddistingue, di fitness e tematiche simili (per quanto queste si possano definire serie). La scorsa settimana mi ha girato un comunicato stampa che mi pregio di riportare in questo piccolo spazio, troppo spesso velato di amarezza, per regalare un soffio di ottimismo e di fiducia all'ipotetico lettore cui è destinato il prodotto. Mi permetto di operare qualche taglio, sostanzialmente l'informazione non ne perde. Se fra i miei lettori non ci fossero uomini d'affari in cerca di stimoli, non importa. Fate girare fra quanti invece ne potrebbero trarre vantaggio. Non ci resta che questo, per sorridere.

19 novembre 2014: 
LELO, il marchio svedese leader nei prodotti di lusso per la vita intima, ha svelato oggi un nuovo esclusivo sex toy dedicato agli uomini d’affari. Il nuovo PINO™ www.lelo.com/pino è il primo prodotto per il piacere creato per soddisfare gli eccessi e le voglie edonistiche di chi lavora nel mondo della finanza.

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Gli uomini d’affari esigono e chiedono il meglio, non solo quando sono in ufficio, ma anche nella camera da letto; sia l’ampia crescita del settore, sia i recenti cambiamenti nei modelli di acquisto della clientela LELO, hanno portato a questo lancio:

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- Il 71% dei partecipanti al sondaggio sul sesso di LELO nella fascia di reddito oltre i 200.000 dollari l’anno possiede più di 5 prodotti LELO e chiede sempre nuovi oggetti per la stimolazione.

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“Se non ci sei dentro, NE SEI PROPRIO FUORI” – Gordon Gekko
“Era come iniettare adrenalina pura” – Jordan Belfort

domenica 23 novembre 2014

Fantasia senza respiro

Per anni rimandato a tempi migliori, ieri si è avverato un mio piccolo sogno. Mi è stato regalato uno squarcio di bellezza e di poesia. Non una sbavatura, non un'imperfezione. Incanto allo stato puro, dove non tutto per forza ha un senso, in una dimensione soprannaturale e immaginaria, senza limiti. Gesti, musica, paura, gioia, rischio, conclusione. La magia delle cose impossibili, gli esercizi in aria avvolti nei drappi di seta, salti, cerchi, suoni e luci, cambi di scena repentini, lacrime, risate. Le parole non descrivono. Lo stupore ferma il cuore, che poi riprende la sua strada fino all'emozione più grande (per me): una coppia di acrobati (è il termine giusto?) in equilibrio continuo e in continuo movimento, in verticale una sull'altro, poi in orizzontale, uno sull'altra, poi incredibilmente sospesi su se stessi, reciprocamente, con fatica immane e impercettibile per chi guarda... Le vera e sola metafora possibile dell'amore. 
Era il Cirque du Soleil, "Quidam".



giovedì 20 novembre 2014

Rosso di mattina

Stamani all'alba il cielo aveva colori meravigliosi: rosa, fucsia, lilla...e qualche ombra scura. Ho scattato la solita foto. Rosso di mattina, la pioggia è vicina, ho detto. Con questo stato d'animo mi sono vergognata di me stessa, del mio Paese, dell'Uomo. Hanno ragione i giudici della Cassazione: il disastro è prescritto. Gli omicidi no. Migliaia di morti e quanti ne ce ne saranno. Non è successo niente. Tutti sapevano, pochi hanno guadagnato impronunciabili somme di denaro, gli altri sono morti. Mi scusi, se può, signora C., mamma della amica S., falciata dal mesotelioma. Uccisa a sangue freddo dall'Eternit e dal signor Schmidheiny, che non vuole più "processi ingiustificati".
E mi scusino tutti quelli che non conosco, che hanno fatto la stessa fine. Non sono stata capace di impedirlo.


sabato 1 novembre 2014

Far fatica

Tutto 'sto silenzio è dovuto a diversi fattori. Sto zitta un po' perché sono intrappolata dalle incombenze, un po' perché mi sono dedicata alla mia passioncella, la fotografia, un po' perché assisto alle vicende di questo Paese e mi sembra di non avere più parole. O più voce.
Allora: a me i drogati mi irritano, a causa di quella vecchia storia che  quando "hai avuto tutto, e soprattutto hai avuto la salute, se il tutto lo butti via sei una merda" (eh, sì... ne ho vista troppa di gente a cui non è stata data nemmeno la possibilità del desiderio di drogarsi...). Però non accetto che lo Stato ammazzi di botte qualcuno, lo lasci morire di fame e poi dica che non sa chi è stato. Il fatto sussiste ecco. Non accetto che si pestino gli operai perché protestano contro un'azienda NON in crisi ma che li caccia nella miseria (questa degli operai pestati, poi... siamo tornati negli Anni '70, altro che cambiare verso. Mi bolle il sangue). Non accetto che si ignori colpevolmente un'evasione di 100 miliardi all'anno e poi si tolgano 50 euro ai pensionati che hanno versato 42 anni di contributi. Non accetto che si urli "chi non salta è musulmano" nell'indifferenza generale. Non accetto che si dica che la mafia aveva una sua morale, visto che ce l'ha ancora e inquina le istituzioni molto più dei terreni intorno a Brescia e il Venditore di materassi non ne parla mai. Non accetto che la "Minoranza del PD" resti nel PD perché "si cambia da dentro". Non accetto che a 50 anni, se sei licenziato finisci in mezzo a una strada, o fai le pulizie in nero, o chiedi i soldi a tuo padre per comprare le scarpe nuove a tuo figlio. Sempre se non ti impicchi in cantina. Non accetto che si faccia passare l'idea che se togli diritti crei lavoro: sono gli investimenti in cultura e ricerca che creano lavoro, non la libertà di licenziare "a pagamento" le persone! Non accetto che si neghi il diritto di contrarre matrimonio a due persone con la vagina o con il pene o con tutti e due. Non accetto che si divori il territorio con milioni di tonnellate di cemento, legalmente. E non accetto che non ci si ribelli al cemento, che si intasino i corsi d'acqua con i mobili vecchi e i copertoni, che si sversi la merda in mare, che elegga il SUV a carrozza, che si travolgano i deboli, che si premino i furbi, che non si stimoli la conoscenza, che si livelli tutto a pura sopravvivenza, che l'etica sia opinabile. 
In questo deserto di umanità, troppo spesso trasformato in habitat naturale, ecco, io faccio fatica.  

martedì 14 ottobre 2014

La nuova vita di Giorgio (4 - fine)

La voce aveva cominciato a girare, nell'istituto, già all'inizio di settembre. Qualche bambino l'aveva saputo e, chissà se con un po' di invidia, se l'era lasciato scappare. Una mattina, incontrandolo in corridoio, gliel'aveva anche chiesto: "Ma cosa ci fai ancora qui? Non sono venuti a prenderti?". 
Infatti i candidati genitori, che da due settimane sono diventati genitori designati, alla fine sono andati a prendere Giorgio. Ci sono voluti altri due viaggi, altre ore in tribunale a farsi torchiare dal giudice più pignolo del mondo, molto sangue freddo, molti soldi, molta perseveranza. E molta, moltissima pazienza.
Una mattina c'è stata la Festa di addio, con gli amici, la maestra, l'educatrice, quella che gli teneva la mano quando lo accompagnava nella "sala colloqui". Riesco a immaginare le lacrime di tutti. Un po' felici, un po' infelici. Ma anche qualche sentimento che non conosco. Cosa avrà provato Giorgio mentre voltava pagina? Avrà guardato negli occhi l'amico del cuore, che nessuno "è venuto a prendere"? E al cuore dell'amico del cuore, chi avrà pensato, quella sera?

Poi la centrifuga della vita ha ingoiato tutto. Le procedure, le attese, i saluti, l'aereo, il grande tappeto su cui Giorgio giocava (togliendosi le scarpe), le regole, la comunità, la lingua che non parlerà più, i ricordi che sfumeranno più o meno volontariamente, mamma, papà, i disegni, il letto nuovo, il Lego nuovo, la giacca nuova, i nonni nuovi, l'ultima occhiata prima di uscire, addio.

Da ieri Giorgio, piantina tenerissima estirpata da un terreno avaro, prova a mettere radici in un futuro diverso. I genitori designati provano la gioia più intensa e più naturale che esista e quando lentamente il moto sussultorio di questo terremoto emotivo si placherà, penseranno alla ricostruzione. Perché, in fondo, questo fanno i genitori veri: crescono piante, costruiscono persone.
La storia finisce qui. Anzi, inizia qui.
  

giovedì 9 ottobre 2014

Un "nose up" fa solo bene

Infine è arrivato anche l'8 ottobre. E l'inizio del mio corso di fotografia, che sostituisce con poco rimpianto quello di tedesco, quattro anni di fatiche, non pienamente ricompensate dall'apprendimento. Mi spiace. L'anno scorso è stato frustrante, compagni insopportabili
(ma davvero, eh? da sberloni!), livello forse troppo disomogeneo (il mio compagno F. ed io, sopravvissuti all'esame, arrancavamo di brutto). Abbiamo lasciato i nostri amici Molletta
(un giovanotto capellone con una molletta dorata in testa), Laromana (con quella parlata tremènda e fastidiosa), Mr. Ok (detto anche "Ja genau"), la Pensionata ingiustamente saccente ma molesta, l'Albanese e il Marito Schiavo (a me il marito era simpatico, però...) e tutte le brave figliole che parlavano tedesco benissimo e non si capisce perché venivano a rompere le balle a noi ignoranti alle otto di sera di giovedì, dopo una giornata di lavoro, sfatti eppure lì con il quadernino e il dizionario.


Quindi abbiamo cambiato aria. Sulla fotografia ho insistito io, perché è la mia passioncella.
F. mi ha seguito docile, "ché tanto gli interessa anche a lui".
Da bravi scolaretti ci siamo presentati in anticipo. Il corso lo tiene tale Gigi, un po' cazzaro ma simpatico. Ha un eloquio da osteria, ma sembra che ci capisca. Cioè, la sua visione della fotografia e la mia sono simili (anche l'eloquio, lo ammetto), quindi - per ora - mi vien voglia di preseguire. Ho guardato le sue cose e l'ho invidiato, e tanto. 

Il primo pippone di Gigi è stato sulla "fotografia come passione". Qui casca l'asino. Cioè l'asina, cioè io.
Tutte cose giuste, eh?
- La fotografia è un atto d'amore per l'immagine.
- La fotografia richiede intelligenza, sensibilità, tempo, dedizione, pazienza. Passione.
- La fotografia è per se stessi (non per gli altri).
- La fotografia deve parlare da sola.
- La fotografia è il nostro spazio libero mentale.
Se non hai tempo/dedizione/pazienza/sensibilità/intelligenza/passione, non provarci nemmeno.
Ho fatto la spunta. Qualcosa manca: il tempo, per esempio. 

Per un attimo sono precipitata nel baratro della rinuncia: il profilo frastagliato della mia sopravvivenza, sempre in bilico su tutto, mi concede il lusso di questa impostazione?
Vabbè, almeno ci provo. 
E poi sono belli, i suoi "nose up". Qualcosa ho già imparato.

martedì 30 settembre 2014

Incredibile

Non l'avrei mai detto. Sono d'accordo con D'Alema. Nella vita può veramente succedere di tutto.

lunedì 22 settembre 2014

Il gioco crudele dei libri preferiti

Raccolgo l'invito della mia amica Ilaria, etereo e poetico e ispirato Pesce volante (http://ilpescevolante.blogspot.it), che ringrazio, e mi cimento anch'io nella lista dei dieci libri che amo/ho amato di più.
L'elenco non è emotivamente né letterariamente corretto, comprende ciò che qui e oggi mi viene in mente; l'avessi scritto ieri (o lo scrivessi domani) forse sarebbe diverso... Diciamo che colgo il mio attimo, così. Restano fuori dei gran capolavori, perché in questo momento non ci sto pensando, e magari anche delle cazzate, che però mi hanno aiutato a vivere.
Ma per gli elenchi c'è sempre tempo. Soprattutto elenchi di libri.
L'ordine è casuale, ça va sans dire.

Pastorale americanaPhilip Roth
Il taccuino d'oro, Doris Lessing
Il club degli incorreggibili ottimisti, Jean-Michel Guenassia
Limonov, Emmanuel Carrère
Il nome della rosa, Umberto Eco
Delitto e castigo, Fëdor Dostoevskij
Il sole dei morenti, Jean-Claude Izzo
Che tu sia per me il coltello, David Grossman
Guerra e pace, Lev Tolstoj
Sabato, Ian McEwan

E mentre scrivevo questi, ho già cambiato tre titoli, e mi sono già rammaricata di averne lasciato fuori altri, e quelli fondanti della mia gioventù? E quelli degli anni belli? E Pessoa? E Dante, allora? E Montale (tutto)? E i francesi? E Steimbeck? E gli irlandesi? Ma come si fa... no, è un gioco crudele, questo. 


domenica 21 settembre 2014

Il circo rosso


C'è molto di istintivo e di personale nella mia passione per Marc Chagall.
Non credo di comprenderne davvero le ragioni, ma il mio cuore vibra e vola e sanguina davanti ai suoi colori e ai suoi simboli ricorrenti, all'anelito di libertà, al sogno, alla fuga, all'amore. Rincorro le sue tracce da tutta la vita, in ogni museo, in ogni città.
Un disegno, un quadro, una vetrata. E ancora mi commuovo, davanti al Circo rosso. (Milano, Palazzo Reale, fino all'1 febbraio 2015).



sabato 6 settembre 2014

Giorgio in attesa (3)

Le procedure sono sempre più complesse: occorre rifare un documento, produrre un'altra copia, aggiornare uno stato, cambiare i nomi di chi firma, tornare al consolato, tornare a farsi analizzare, giudicare, consigliare, rapinare ecc. Ma poi finalmente è tutto pronto e ballano sempre solo quei cinque giorni lì, prendere o lasciare. Subito, in fretta, all'improvviso, partire, prenotare, l'interprete, l'aereo, il viaggio. "La valigia!", mi dice il candidato padre, tutto ansioso. E io, stupida: "Che vuoi che sia, una valigia? Sbatti dentro due magliette...". Eh no. Intanto i giorni saranno tanti (un mese?) e poi, in valigia, ci vanno anche i vestiti di Giorgio. Perché Giorgio, questa volta (e metto tra parentesi uno scaramantico "se tutto va bene, ma andrà bene"), torna con i genitori, non più candidati, ma genitori veri. Insomma, forse davvero ci siamo. Ho chiesto relazioni minime e esclusivamente di genere organizzativo, ogni emozione è rimandata, adesso non si può. 
Intanto Giorgio aspetta. Chissà se in questi mesi ci ha pensato mai, a quei due là. Che gli han detto "torniamo" ma non si sono più visti. Chissà se le foto che gli hanno mandato le ha ricevute o se sono finite in un cassetto; in fondo, meglio non illudere. "La vita è un cimitero di illusioni, Marilla", diceva Anna dai capelli rossi. Che questa volta ci sorprenda?

giovedì 4 settembre 2014

Vergogna e gratitudine

E dunque il Consiglio di Stato ha con indegno ritardo sancito il diritto di Eluana Englaro a rinunciare alle terapie che la tenevano in stato vegetativo da un numero inammissibile di anni. Che qualcuno levi l'orrenda definizione di "assassino" a Beppino Englaro, uomo meraviglioso e inarrendevole, che ha amato sua figlia più di se stesso, camminando su strade di dolore e abnegazione. Che qualcuno senta la vergogna divorargli l'anima, che qualcuno lo ringrazi.

sabato 23 agosto 2014

Gli occhi di M.me Merrien

M.me Merrien ha gli occhi azzurri, è minuta, una cosina rinsecchita. Oggi ha 87 anni e una volta aveva un marito e tre ragazzi; il figlio è morto a 53 anni di cancro ai polmoni ("il fumo è una droga, credetemi"), e a lui rivolge le sue preghiere sottovoce, di nascosto, la sera (ma io le ho sentite).
Vive da sola, c'è un'infermiera che la mattina la aiuta a fare la toilette, a mettere le calze, e le dà l'abbrivio per cominciare la sua giornata. C'è anche qualcuno che le fa la spesa, e un fisioterapista un paio di volte alla settimana le massaggia la schiena e la accompagna a fare una passeggiata, o su per le scale del primo piano, quando se la sente. Si capisce che è una signora, e non perché non le mancano i mezzi. La sua più bella dote è la dignità. Una dignità sconfinata, incommensurabile, che abbaglia. La sua unica preoccupazione è quella di non disturbare mai.
Mi ha parlato della nuora, che ho visto una volta, una signora molto dolce e affettuosa. Mi dice che per lei è stato difficile, quando è rimasta sola, e che le è molto affezionata. Abita lontano, ma viene spesso a trovarla. La nipote, 30 anni, è Grande Ufficiale di Marina (tutto maiuscolo). Quando la nomina, le brillano gli occhi di orgoglio, dev'essere il suo gioiello, ciò che le rimane di suo figlio, una ragazza straordinaria, una carriera travolgente: al momento è imbarcata... ma appena avrà una licenza verrà a trovarla. In famiglia sono tutti ingegneri o ufficiali di Marina. Abbiamo chiacchierato tanto, nei giorni in cui siamo state insieme. Io seguivo un po' a fatica il suo eloquio ricercato e velocissimo, con un forte accento bretone. Mi ha raccontato molti momenti importanti della sua vita, quasi tutti belli. E su quelli brutti ha abbassato lo sguardo, con un filo di voce, dicendomi solo "è stata dura". Mi ha detto mille volte che avevo dei bei capelli e che anche lei un tempo aveva una chioma da invidiare. Le pesa questa piccola rinuncia alla vanità, le pesa come un macigno, ma si capisce che è un sipario per nascondere il dolore vero. Abbiamo parlato del futuro, di cosa l'aspetta; immagina di avere ancora una vita lunghissima e pensa a come riorganizzarla. Spera di "non perdere la testa, perché è terribile
": io l'ho confortata, sostenendo che il peggio sarebbe per gli altri, che non potrebbero più parlare con lei, persona così deliziosa. 
Quando ci siamo salutate, ho avuto invece l'impressione che il suo cuore fosse sempre più stanco, la sua voce più flebile e che il futuro... mah...  L'ho ringraziata per tutto l'esercizio del francese cui mi aveva costretto e che mi era stato così utile, date le circostanze. Le ho stretto le mani fra le mie è le ho detto "Madame Merrien, siate fiduciosa, andrà tutto bene", e i suoi occhi azzurrissimi mi hanno detto tutto il resto.

P.S.: se vi capita un guaio grande, e finite in ospedale, scegliete Quimper, in Bretagna.
Se sapete il francese bene, è meglio. E poi, lassù, così a ovest, il sole in estate tramonta alle dieci di sera, la morte sembra sempre un po' più lontana.

venerdì 25 luglio 2014

Solo il ricordo

Io penso che quando si tirano le bombe sulle case, sulle scuole, sugli ospedali, quando si ammazzano i bambini, quando si spogliano i prigionieri e li si fa inginocchiare, quando si toglie l'acqua, quando si toglie l'aria, quando si toglie il respiro, l'umanità non esiste più. E in questo silenzio del mondo, spero che almeno una voce si alzi e ricordi il passato. Perché solo il ricordo, mai così lontano, può salvare oggi Gaza e il popolo della Palestina. E Israele.

giovedì 24 luglio 2014

Quando qualcosa va storto

B. è una bella ragazza, bionda, ben vestita. Ha una ricca maglietta bianca ricamata, e un paio di pantaloni di lino bianchi. Elegante, curata. Non come le altre. È lì dentro da dicembre, io non l'avevo mai vista. Certo, ci vado poco. Il meno possibile. Vorrebbe uscire, infatti quando compongo il codice sulla tastiera della porta per entrare lei è al di là del vetro, spera di sgattaiolare, spera che nessuno se ne accorga, spera di riuscire a scappare. È fra le poche che capiscono, fra le poche che parlano, che concepiscono un pensiero. Fra le poche che sperano. Purtroppo.
È un'intrusa, più o meno.

Mi accoglie, mi saluta, mi segue, e interrompe la mia conversazione burocratica con chi comanda. 
"Posso uscire?", chiede. 
"No". 
"Perché?"
"Lo sai perché. E poi sono occupata con questa signora, ne parliamo dopo".
"Mi comporto bene, te lo prometto".
"No".
Chi comanda prova a scusarsi con me: sono in tante, escono a turno, mi dice sorridendo,
a bassa voce. Oggi non è possibile.

Certo. Capisco. Ringrazio, infilo le carte firmate nella borsa, saluto dolcemente l'"ospite" per cui sono venuta e mi avvio all'uscita.
B. mi segue.
"Posso venire con te?", mi chiede.
"Devi chiedere il permesso... credo..."
"Posso andare con lei?", implora rivolta a una persona che non comanda, ma è lì per eseguire.
Permesso negato. 
"No."
Mi si stringe un po' lo stomaco.
"La prossima volta...", propongo imbarazzata. 
"Quando torni?"
"Non lo so.... "
Cerco una soluzione momentanea e oso un "Mi fai vedere la tua stanza?"
Mi accompagna. Mi mostra il suo letto. Sulla mensola in alto c'è un orso di peluche con la maglia dell'Inter. "Sei interista?" 
"Sì."
Sul comodino ci sono alcune cornici portafoto. Ne prendo in mano una. "Chi è?", domando.
"Mia sorella". 
"E questa sei tu?"
"Sì, da piccola. Nell'altra siamo io e mia sorella, da piccole". Anche la fotografia è minuscola, un po' sbiadita. Anni Ottanta. Due graziose bambine bionde. Lei è la più carina, ha gli occhi verdi. 
"Che belle..."
"Sì".
"E i tuoi genitori?"
"Boh".

La prendo per mano, le chiedo quanti anni ha. Trentasette. 
"Allora io vado...", sussurro. 
"Ti accompagno".
Sono a disagio, so che vuole venire via con me.
"Certo. Allora la prossima volta andiamo giù a bere un succo di frutta", le dico. Le do un bacio sulla guancia.
"Quando sarà la prossima volta?"
"Presto".
"Quando?"

P.S.: Io dovrei andarci più spesso, lo so. Lo faccio con tanto dolore, per dovere. Però forse un giro lì dentro farebbe bene a tanti, almeno una volta nella vita. Così, tanto per vedere cosa succede quando qualcosa va storto. 


giovedì 17 luglio 2014

Il pesce e le persone perbene

Due mesi fa ho perso le chiavi del lucchetto della catena della bicicletta. Sono andata al mercato a comprare la frutta e la verdura: ho legato la bici a un palo della luce, un po' distante, per non istigare al furto. Carica di sacchi e sacchetti, sono ripartita e, probabilmente, nel sistemare gli acquisti nei due cesti portapacchi, mi sono cadute le chiavi. Arrivata a a casa, mi sono accorta di non poter legare la bicicletta e mi sono molto stizzita con me stessa, per la poca attenzione. Il portachiavi è un pesce di cuoio ricoperto di perline, me l'ha portato dall'Africa una persona a me cara (e l'Africa è un suo antico sogno, quindi ha un doppio significato).
Sono tornata fino al palo della luce e, sul gradino del muretto che circonda un albero vicino, ho trovato il mio pesce con le chiavi. Una persona perbene l'aveva raccolto e appoggiato lì, in vista, se mai fossi tornata a cercarlo.

Oggi ho perso di nuovo le chiavi del lucchetto della bicicletta. Lungo la strada per andare a un appuntamento, mi è caduta la catena della bici (la poveretta, anche se giovane, è malandata, ha preso una brutta botta un mese fa e risente di un assetto ahimé raffazzonato!). Sotto il sole cocente l'ho ribaltata, ho rimontato la catena con le mani tutte sporche di grasso e sono ripartita, sbuffando. Arrivata a destinazione, le chiavi non erano come al solito nel cestino, dove pensavo di averle messe. Seconda arrabbiatura. Stavolta mi sono proprio incazzata, non si può vivere nelle nuvole in questo modo. E poi insieme a quelle del lucchetto ci sono le chiavi della cantina, del portone, di un'altra catena, della casella della posta... e poi il pesce, il mio pesce africano!!
Ho ripercorso tutto il (lungo) tragitto praticamente in contromano, scrutando ansiosa fra rotaie del tram e buche nell'asfalto, ma ovviamente non c'erano.
Sono tornata sconsolata nel punto dove mi ero improvvisata meccanico, sperando fossero lì per terra, ma niente da fare.
A pochi passi c'è un cinese che vende vestiti brutti e costosi con un camioncino. Stavo per rinunciare, quando mi sono detta "magari...". Ho chiesto se per caso...


Il cinese ha voluto che descrivessi il pesce di perline, e dentro di me si è mosso il mondo.
Un signore perbene aveva raccolto il mazzo di chiavi e gliel'aveva dato, in caso qualcuno lo reclamasse... L'ambulante è stato brusco e un po' antipatico, ma se ne può dedurre che:

1) il pesce (e chi mi l'ha dato) mi vuole bene, mi accompagna, non si stacca.
2) ci sono molte persone perbene, che non vediamo quasi mai, ma ci sono. Anzi, forse sono più le persone perbene che le altre; fanno meno rumore, tutto qua.



giovedì 10 luglio 2014

Il nuovo che avanza

Mi sono resa conto che ormai il concetto di "blog" è obsoleto e perde sempre più consenso. Alcuni blogger che seguo, per esempio Matteo Bordone (www.freddynietzsche.com), non hanno pubblicato nulla per mesi interi, oppure hanno annunciato la chiusura del blog, spesso perché si sono "trasferiti" su Facebook, dove vige una comunicazione più rapida e immediata, spesso corredata da fotografie che rimandano a situazioni del momento, con riflessioni compattate in poche parole, o con semplici link a contenuti altrui. 
Bordone, per esempio, sostiene che un blog ha senso e funziona se è frequentato, se le persone lasciano un commento, se la platea è vasta e attiva. Addirittura si chiede se non sia il caso, il suo naturalmente, di farsi ospitare all'interno di una testata. Naturalmente io non ho la pretesa di una platea vasta e nemmeno attiva, forse modestamente mi accontento di chi ogni tanto si sente coinvolto o compreso o toccato o semplicemente guarda una mia foto e la trova bella. E lascia una riga. 
Per continuare a fruire dei pensieri e delle idee di persone che mi interessano
(l'obiettivo di un blogger dovrebbe essere la condivisione, credo), mi ero creata un profilo Facebook anonimo, che mi permetteva di accedere alle pagine che mi interessavano. Facebook me l'ha bloccato, obbligandomi a fornire copia di un mio documento (provvisto di foto) per verificare la mia identità, anche se non avevo mai postato nulla (quindi non si trattava di una censura di merito).

Ci ho pensato un po', poi mi sono creata un nuovo profilo vero, con tanto di nome e cognome. La scelta dell'anonimato era dettata dal desiderio di non essere rintracciabile senza fatica da persone che evidentemente non avevano avuto interesse a frequentarmi per anni e che, solo grazie alla disponibilità di un database, erano mosse dalla curiosità di contattarmi. In ogni modo, si può sempre non rispondere alle richieste di amicizia e non accedere al profilo. Chi mi cercasse in questo modo, non avrà risposta. Pace. 
Almeno potrò continuare a leggere chi mi interessa e se questo è il nuovo, che nuovo sia.
Resto invece fedele al mio piccolo Out of the box, perché credo che il tempo richiesto per immaginarlo e realizzarlo riesca a filtrare certe espressioni di avventatezza, certi impulsi un po' istintivi, e a scremare un po' di banalità: in ciascuno ce n'è una buona dose e, per quanto mi dolga ammetterlo, anche in me. Finché posso, scelgo ancora il vecchio stile. Sarà, ma secondo me a volte il nuovo che avanza, avanza male.



martedì 8 luglio 2014

Dieci cose che avrei voluto fare e che posso ancora fare

- Farmi cantare "You've got a friend" da James Taylor (o altra lirica a sua scelta, purché rimandi al mio passato)
- Fare parapendio in barba a qualsiasi responsabilità
- Nuotare con i delfini
- Imparare male il russo
- Vedere San Francisco
- Imparare la lingua dei segni (anche se non mi serve, al momento)
- Leggere "Guerra e pace"
- Avere un terrazzo pieno di piante da curare (per curare essenzialmente me stessa)
- Vendicarmi con efferatezza di alcuni torti subiti
- Andare a vivere e morire a Parigi