Se fossi più costante, mi piacerebbe istituire una rubrica "Belle persone".
Inizio con questa.
Marco, giovane barista. Mi serve il caffè in un tristissimo bar di un tristissimo posto dove sono quasi costretta ad andare, durante le frequenti visite a una persona a me vicina. Nel tempo, in quel recinto di sofferenza sono successi molti episodi spiacevoli e non sempre il mio sarcasmo mi ha tenuta in piedi. Qualche volta ordinare il caffè lungo con il latte freddo a parte è stato un gesto eroico, collaterale al danno.
Marco mi ha sorriso sempre, ha giocato con me quand'ero cinica, ha taciuto quando non avevo voglia di scherzare, ha capito la mia pena, mi ha dato il vassoio quando era utile, mi ha servito al tavolo quando ero carica di borse e di pensieri.
Una mattina d'estate, poi, sfortunatamente ho proprio passato il segno. Quando il dolore trabocca, non c'è proprio niente da fare. E quella mattina d'estate, il caffè non me l'ha fatto pagare.
Ieri è di nuovo autunno. Non fa più caldo. Il caffè me l'ha preparato Mary, donna bellissima, egiziana, con figlia bellissima, croupier. Quando è arrivato Marco io ero ormai sulla porta, mi ha sorriso come al solito, e mi ha mandato un bacio con la mano, dal bancone. Posso ricominciare.
Bicocca

Fausto Melotti, La sequenza, Milano
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martedì 3 ottobre 2017
martedì 11 aprile 2017
Atene # 02 - La compagna dei Greci
Le città sono veramente belle o veramente brutte soprattutto a Natale. A me piacciono le città, tutte. Mi piace esplorarle, capirne il respiro, guardare le facce di chi ci abita, i muri, la metropolitana, la vita. A Natale, se hai il cuore duro, vedi tante cose che in primavera sono più sfumate.
Lungo Eolou, ho immaginato le storie di chi attraversa la strada di corsa, rimprovera un bambino, prega (tanto), chiede l'elemosina.
In realtà, ad Atene, sfinita dallo strozzinaggio tedesco, l'elemosina la chiedono in tanti. E a Natale di più, mi è sembrato. E mi è sembrato anche che fosse un'elemosina più dolorosa, più fredda, più umida, più consapevole e più umiliante rispetto a quella di aprile.
Un Natale scintillante e miserevole.
La Grecia la stanno ammazzando. Non ne parla più nessuno e nel silenzio assoluto i greci vanno a fondo. Un greco su quattro non ha di che vivere.
Lungo Ermou, ma non solo, un edificio su tre è vuoto, con le vetrine dei negozi sulla strada ricoperte di scritte e giornali, spesso abitato da fantasmi senza più nulla. Così le incredibili luminarie hanno acceso anche gli angoli più dolorosi.
Una signora con il cappotto, ben vestita, una sciarpa che la proteggeva dal vento gelido. Seduta su una seggiolina, testa bassa, piattino. Poco più in là, in Evaggelistrias, sotto un platano, un quarantenne con gli occhiali, giaccone blu, aria da ingegnere. Lui sì che mi ha fatto male, non so, forse è questione di stereotipi: testa bassa, bicchiere in mano. E così via. Una giovane perbene che vendeva scarpine per neonato fatte a maglia, e sferruzzava. L'ho ritrovata in Adrianou la scorsa settimana, le scarpine ormai di cotone, insieme ad alcune bamboline. Giovani acrobati in piazza Syntagma. Anziani che vendevano pannocchie arrostite. Oggi, alcuni offrono sul marciapiedi davanti a Thissio ciò che resta della loro vita di sette anni fa: scarpe ancora decenti, maglioni usati ma belli, elettrodomestici funzionanti, quaderni di scuola avanzati, abiti, strumenti musicali, orecchini, tavolini, cose tutte di cui a un certo punto si può fare a meno, per pagare la spesa.
Un Natale scintillante e miserevole.
La Grecia la stanno ammazzando. Non ne parla più nessuno e nel silenzio assoluto i greci vanno a fondo. Un greco su quattro non ha di che vivere.
Lungo Ermou, ma non solo, un edificio su tre è vuoto, con le vetrine dei negozi sulla strada ricoperte di scritte e giornali, spesso abitato da fantasmi senza più nulla. Così le incredibili luminarie hanno acceso anche gli angoli più dolorosi.
Una signora con il cappotto, ben vestita, una sciarpa che la proteggeva dal vento gelido. Seduta su una seggiolina, testa bassa, piattino. Poco più in là, in Evaggelistrias, sotto un platano, un quarantenne con gli occhiali, giaccone blu, aria da ingegnere. Lui sì che mi ha fatto male, non so, forse è questione di stereotipi: testa bassa, bicchiere in mano. E così via. Una giovane perbene che vendeva scarpine per neonato fatte a maglia, e sferruzzava. L'ho ritrovata in Adrianou la scorsa settimana, le scarpine ormai di cotone, insieme ad alcune bamboline. Giovani acrobati in piazza Syntagma. Anziani che vendevano pannocchie arrostite. Oggi, alcuni offrono sul marciapiedi davanti a Thissio ciò che resta della loro vita di sette anni fa: scarpe ancora decenti, maglioni usati ma belli, elettrodomestici funzionanti, quaderni di scuola avanzati, abiti, strumenti musicali, orecchini, tavolini, cose tutte di cui a un certo punto si può fare a meno, per pagare la spesa.
Molte case, soprattutto in centro, sono abbandonate. Case anche belle, dell'inizio del Novecento, con balconi in ferro battuto. Sui davanzali ancora qualche vaso. I muri ricoperti di graffiti, vecchie pubblicità, un decoro sui generis. Ciarpame vario, scacchiere rotte, ferramenta.
Erodoto racconta che Serse chiese a Demarato, figlio di Aristone, che lo accompagnava nella spedizione contro la Grecia, se i Greci avrebbero opposto resistenza ai Persiani. Demeraro rispose che "da sempre la povertà è compagna dei Greci, mentre la virtù è un acquisto successivo, frutto della saggezza e di una legge severa: e grazie alla virtù la Grecia si difende dalla povertà e dall’asservimento".
Sarà.
Sarà.
Ma questa sì, è la parte scura e brutta della Grecia. La terra bruciata della crisi, l'urlo dell'indigenza. La gente che prova a sorridere, nei negozi e nelle botteghe, anche con dentature che risentono della situazione. E sorride sempre meno, a dir la verità, nemmeno a beneficio dei turisti.
martedì 17 maggio 2016
La Callas in ciabatte
Tutto è cominciato una settimana fa. Mi ha telefonato la proprietaria di un appartamento del piano di sopra, affittato a due giovani studentesse di filosofia, chiedendomi informazioni sul sig. Rossi, che vive esattamente sotto le ragazze. Sembra che il mio vicino ascolti musica lirica fino a notte fonda e a volume altissimo, impedendo il riposo alle due assetate di cultura. Onestamente, io non ho mai sentito nulla, tanto meno nottetempo. Cioè, qualche volta, passando sul ballatoio, ammetto di aver sorriso alla voce della Callas, ma roba minima, e di giorno.
Da allora la vicenda procede su strade ansiose. La proprietaria inizia a telefonare a destra e a manca ai vicini, che cadono dalle nuvole. In ascensore fra noi se ne parla, ma il problema di questi tempi è l'assemblea in cui si deciderà il rifacimento della facciata, altro che la lirica del Rossi. Bisogna raccogliere le firme per le deleghe, chissenefrega della Madama Butterfly.
Quando l'ho conosciuto, vent'anni fa, il Rossi aveva un bel lavoro e la ventiquattrore in mano, chiacchieravamo spesso dei miei fiori e del suo gatto sulla porta di casa, soprattutto nelle calde serate estive. Vabbè, poi è andata così. Esaurimento nervoso (ora si chiama burn out), delusione d'amore, sembra, solitudine. Diciamo che si è lasciato un po' andare. Non esce più, lo incontro raramente.
L'altro giorno le studentesse del piano di sopra gli hanno appiccicato alla porta un cartello pieno di errori di grammatica con cui lo invitavano a non disturbare il loro sonno. La firma, "Alcuni condomini", era astiosa e vergognosamente anonima.
Il signor Rossi è venuto a mostrarmi l'avvertimento, offeso e scandalizzato. Con molto garbo gli ho consigliato l'uso delle cuffie, ma non mi è parso convinto.
Per farla breve, stanotte la luce della ragione l'ha abbandonato. Psicofarmaci più alcol hanno scatenato la stizza per il torto ricevuto, è salito al piano di sopra per parlare con le "filosofe" e si è messo a gridare troie di merda e le studentesse analfabete hanno chiamato i carabinieri e poi l'hanno portato via e poi e poi...
E poi il signor Rossi, che ha un paio d'anni più di me, è venuto a dirmi che sì, le filosofe hanno chiamato i carabinieri, ma lui non si ricorda bene cos'è successo. E io ho visto tutto la tristezza del mondo nel suo sguardo perso e sporco, nelle sue ciabatte sgangherate, nel suo vuoto d'anima.
E ho visto tutta l'arroganza e la pochezza del mondo schiacciate di corsa nelle valigie delle filosofe, che stamani alle 5 sono scappate via, e nella voce concitata della proprietaria che non si capacita del "muro omertoso" che noi vicini abbiamo eretto intorno a questo uomo "squilibrato, fuori di testa, che insulta e urla".
Sì, perché nessuno di noi, obiettivamente, vorrebbe lasciare il signor Rossi in bocca ai suoi fantasmi, proprio adesso che rifaremo la facciata.
E in questo ho visto tutto il bene del mondo.
Da allora la vicenda procede su strade ansiose. La proprietaria inizia a telefonare a destra e a manca ai vicini, che cadono dalle nuvole. In ascensore fra noi se ne parla, ma il problema di questi tempi è l'assemblea in cui si deciderà il rifacimento della facciata, altro che la lirica del Rossi. Bisogna raccogliere le firme per le deleghe, chissenefrega della Madama Butterfly.
Quando l'ho conosciuto, vent'anni fa, il Rossi aveva un bel lavoro e la ventiquattrore in mano, chiacchieravamo spesso dei miei fiori e del suo gatto sulla porta di casa, soprattutto nelle calde serate estive. Vabbè, poi è andata così. Esaurimento nervoso (ora si chiama burn out), delusione d'amore, sembra, solitudine. Diciamo che si è lasciato un po' andare. Non esce più, lo incontro raramente.
L'altro giorno le studentesse del piano di sopra gli hanno appiccicato alla porta un cartello pieno di errori di grammatica con cui lo invitavano a non disturbare il loro sonno. La firma, "Alcuni condomini", era astiosa e vergognosamente anonima.
Il signor Rossi è venuto a mostrarmi l'avvertimento, offeso e scandalizzato. Con molto garbo gli ho consigliato l'uso delle cuffie, ma non mi è parso convinto.
Per farla breve, stanotte la luce della ragione l'ha abbandonato. Psicofarmaci più alcol hanno scatenato la stizza per il torto ricevuto, è salito al piano di sopra per parlare con le "filosofe" e si è messo a gridare troie di merda e le studentesse analfabete hanno chiamato i carabinieri e poi l'hanno portato via e poi e poi...
E poi il signor Rossi, che ha un paio d'anni più di me, è venuto a dirmi che sì, le filosofe hanno chiamato i carabinieri, ma lui non si ricorda bene cos'è successo. E io ho visto tutto la tristezza del mondo nel suo sguardo perso e sporco, nelle sue ciabatte sgangherate, nel suo vuoto d'anima.
E ho visto tutta l'arroganza e la pochezza del mondo schiacciate di corsa nelle valigie delle filosofe, che stamani alle 5 sono scappate via, e nella voce concitata della proprietaria che non si capacita del "muro omertoso" che noi vicini abbiamo eretto intorno a questo uomo "squilibrato, fuori di testa, che insulta e urla".
Sì, perché nessuno di noi, obiettivamente, vorrebbe lasciare il signor Rossi in bocca ai suoi fantasmi, proprio adesso che rifaremo la facciata.
E in questo ho visto tutto il bene del mondo.
venerdì 13 maggio 2016
Danzando con Mr. Bojangles
Pur nell'elogio della menzogna, in "Aspettando Bojangles" del giovane francese Olivier Bourdeaut, ci dev'essere molta verità. La meraviglia, in senso proprio, della follia, filtrata senza stupore dallo sguardo di un bambino. La stravaganza che "occupa l'intero quadrante dell'orologio, depredando ogni istante". Questa storia d'amour fou non è per tutti, perché per sorriderne e piangerne, probabilmente, è necessaria la traversata della "dolce marginalità", che a volte è amara, amarissima, si incolla ai vestiti, agli odori, ai sapori, alla vita intera.
Breve, struggente, poetico, onirico, improbabile, disperato, ahimè vero. L'ho letto per caso, come molte volte mi capita, quando le storie come questa mi vengono a cercare, mi abitano e non se ne vogliono più andare. Si vede che si trovano bene.
"Quando la realtà è banale e triste, inventatemi una bella storia, voi che sapete mentire così bene".
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