Bicocca

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Fausto Melotti, La sequenza, Milano
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lunedì 17 ottobre 2022

Carnet de voyage - Parigi #08 - «Montjoie! Saint-Denis!»

Grido di guerra dell’esercito dei re di Francia, a partire dai Capetingi. E va bene, andiamo a Saint-Denis. In lista da anni, ma per ragioni di tempo o di scelta, non ha meritato.
Allora, bisogna distinguere: la cattedrale e la cittadina ai margini di Parigi.
 
La cattedrale, vabbè, non richiede le mie quattro righe. La struttura in sé è maestosa, un respiro in ascesa. Poi ci sono la cripta, la necropoli reale. Tutte quelle statue distese sulle tombe, con i leoni ai piedi, le mani giunte, i volti dignitosi. Sembrano tutte anime vere e dormienti. Qui Maria Antonietta si mangia in eterno le sue brioche, Carlo V è ancora convinto che il sole non tramonti sul suo regno, Caterina de’ Medici è lì scomposta e discinta, accanto a Enrico II (morto durante un torneo cavalleresco), nudo e con il capo reclinato all’indietro. Il progetto della tomba è di Primaticcio, ma la realizzazione è di Germain Pilon, che con i ritratti ci sapeva fare. 




 

E adesso l’avanti e indietro lungo rue de la République. Qui c’è “un po’ di tutto”, anzi, no. C’è molto di quello. Quello che scrivono sui giornali, la banlieue, la terra di nessuno, dove vive “la racaille”, le feccia (cit. Monsieur Sarcozy). Abitare nel “93” (cioè nel 93° dipartimento) oggi è uno stigma da cui non si ci lava. Qui sono nati Cherif e Said Kouachy, i due fratelli dell'attentato a Charlie Hebdo, qui vicino viveva Samy Amimour, uno dei kamikaze che si è fatto esplodere al Bataclan. Eppure alle 4 del pomeriggio di domenica vedo solo tanta gente, molti giovani, molti di colore, molte ragazze con il velo, molti tipi strani evidentemente un po’ ai margini. Tutti che passeggiano, fanno compere, chiacchierano (anche fra sé e sé). In 500 metri ho contato almeno trenta negozi che vendono prodotti per capelli afro e migliaia di parrucche, vetrine che espongono tuniche di varia foggia, abiti sportivi, scarpe e poi anche caramelle (e c’è la fila), sotto il bel palazzo della Posta. Persino i manichini sul marciapiede sono neri, sembrano vivi (anche loro, come le statue della cattedrale), a dir la verità. Gli edifici sono dimessi ma raccontano di tempi migliori. Hanno dipinto un bel murale. Tornando verso la fermata della metropolitana scorgo le case popolari e la bruttezza vera, quella che sa di piscio e di miseria. C’è una specie di negozio dove si muovono gli organizzatori orgogliosi della candidatura di Saint-Denis come capitale europea della cultura per il 2028. Ho pensato a uno scherzo, ma evidentemente ci sperano.


p.s: A proposito, nel frattempo Melenchon ha portato 140.000 persone in piazza. Così, per dire... 










 

lunedì 10 ottobre 2022

Carnet de voyage Parigi #05 - Le persone

Il gioco è anche guardare le persone. Fino a una certa età corrono, corrono sempre. Le ragazze hanno tutte le borsette di cotone sulla spalla, i ragazzi gli auricolari in testa (anche le ragazze). Gli impiegati la cartella di cuoio. Le signore, molte, la borsa della spesa con le ruote. I senzatetto hanno i materassi, i piumini, i loro averi, spesso una sedia con un libro e una bottiglia. La forbice sociale si è molto allargata negli ultimi anni. Dalla bicicletta elettrica al cartone, è un attimo: il marciapiede è di tutti. Eppure c’è una vitalità che colpisce e il melting pot ormai è cosa compiuta. Tutti si amalgamano, probabilmente solo sugli autobus o per le strade, e mi fa ridere pensare che a casa nostra c’è gente che non ha capito che il processo è inarrestabile e giusto e naturale. E bello. Basta sedersi in metropolitana, entrare in un supermercato, passeggiare in un giardino (ne sono stati creati moltissimi) per vedere quello che saremo, nonostante le Meloni. Lingue, abiti, colori, bambini, scarpe, cappelli, acconciature. Più o meno, tutti con la giornata in mano.







martedì 24 gennaio 2017

Eterno riposo


A me i cimiteri piacciono. Incontro le storie del mondo, riconosco le vite dal colore di una pietra, dalle parole scolpite, dalle geometrie. Non provo tristezza. È come leggere un milione di libri. Inizio e fine di ciascuno. Di cimiteri ne ho visti veramente tanti.
In un'isola in Irlanda, accerchiata dalla marea, tombe scoperte e ossa antiche che sbucano ovunque. A Parigi, dove riposa il pensiero. In Spagna, con 
strane composizioni di fiori, un po' parossistiche.
I cimiteri ebraici di mezza Europa, spesso con le lapidi sprofondate, spezzate
e abbandonate, con i loro sassolini affettuosi. In Val d'Aosta, con le croci di legno a forma di baita, con balcone e vasi di fiori. E poi i cimiteri anglosassoni, prati di pace.
E quelli militari. E quelli di guerra, dolorosi. Piccoli o sterminati. Popolati da corvi, enormi e spettrali. Bui. Oppure luminosi, a picco sul mare, lo sguardo a Occidente.
Ho centinaia di foto, discrete e rubate, oppure pensate. Un paio di giorni fa sono stata al Monumentale di Milano. La visita era organizzata da una giovane guida appassionata di arte funeraria e prevedeva un percorso a metà fra il misterioso e l'inaspettato, dall'imbrunire.
È stato solo un primo assaggio di uno sconfinato universo immobile. Come si dice in questo casi: da rivedere.






sabato 3 settembre 2016

Deutschland über Alles # 04 - Berlino

L'immagine più viva che conservavo di Berlino (1988, durante un viaggio particolare, diciamo "di scoperta") era quella di una pasticceria dell'Est, con due (due!) torte spessissime e obiettivamente tristi, esposte in vetrina su un banco a gradoni di legno. E poi i buchi fra le case: casa, casa, casa, buco, casa, buco, casa, buco... ogni tanto un edificio, probabilmente distrutto da un bombardamento, non era stato ricostruito. E molte donne sole, spesso anziane. E il muro, certo. Ho anche la foto che mi ritrae con J., abbastanza (ma abbastanza) vicini, davanti a un tratto di muro colorato, quindi sul lato Ovest.
E la fermata della metropolitana "saltata".
Poi basta. 

Ci sono tornata, dopo troppo tempo e troppe cose. 

Ovviamente le pasticcerie adesso sono tutte belle, la metropolitana ferma in tutte le stazioni e le case le hanno ricostruite. Non tutte, quelle.
Berlino è un cantiere, da vent'anni. Non c'è marciapiede, isolato, strada, incrocio, parco, edificio che non sia spalancato e non sia in ristrutturazione/costruzione. 
Una città sventrata, intesa a cancellare, rifare, riprogettare, cambiare (soprattutto).

La prima passeggiata, iniziata con il cielo bianco sopra Berlino, mi ha scoraggiata. Fra transenne, ruspe e turisti che non guardano la Porta di Brandeburgo ma il cellulare proteso davanti a sé e la mercificazione di ogni segno del passato ma anche del presente e del futuro, mi è apparsa una visione alterata della metropoli, che per tallonare la sua nuova fama di "place to be", mi pare comunque in affanno. Tutto è solo parzialmente accessibile, causa restauro o rinnovamento o soppressione. 

Ecco, secondo me l'idea di conciliare gli errori di un tempo (dalla questione ebraica alla DDR) con le aspirazioni di oggi a suon di luoghi commemorativi (centinaia di memoriali per significare ogni lutto di ogni categoria di persone) e calcestruzzo, è straniante.

Ovviamente Est ed Ovest sono tutt'uno, fisicamente e in buona parte anche culturalmente e filosoficamente e mentalmente e ogni -mente. Il cemento funzionalista resiste in qualche posto, più per scelta economica che urbanistica. A volte si ha l'impressione che il palazzone stia per crollare, talmente è storto... Dove possibile, le ruspe sono ancora in azione. 

Il muro, per esempio, adesso è una specie di traccia per terra, salvo pochi metri lasciati in piedi per motivi vari, principalmente turistici.  
Le cose da vedere ho cercato di vederle, dall'infantile ascesa sulla Torre della Televisione alla Porta di Ishtar (l'Altare di Pergamo era in fase di trasferimento ad altra sala..). 

Mi sono concentrata sulle persone e sul loro modo di muoversi. Gli impiegati, gli studenti, gli operai appesi ai ponteggi, le commesse, le ragazze (vanno molto i capelli color fucsia). Dalla periferia ogni giorno ho raggiunto il centro con la mia bicicletta portata da casa, caricandola sul treno. Sembrava un rottame rispetto alle altre. Sulla carrozza apposita (eh...) ho osservato gli ingegneri con il pc e il caschetto protettivo, la bici sotto il braccio di corsa per le scale della metropolitana (anche se ci sono gli ascensori, garantisco!); c'è qualche famiglia di immigrati, perlopiù siriani (ma pochi, se è vero che la Germania ne ha accolti più di un milione), e ci sono molti ragazzi. Dicono che i berlinesi siano già stufi di questa trasformazione radicale modaiola e in nome di art&design&wathever. Tutti 'sti ggiovani che hanno hanno fatto lievitare gli affitti e vivono di giorno e di notte e creano e studiano e connotano... Solita storia. Della serie "Venezia è bella ma non ci vivrei", Berlino è viva ma non ci morirei.

Ho portato a casa con me:

 - Karl-Marx-Allee, per l'architettura (eh sì!), il respiro, il progetto e l'armonia. E anche per il Festival della Birra che vi si tiene una volta all'anno, della birra me ne frego perché non la bevo, ma il contorno è indimenticabile.
- Un incrocio di strade dietro la Sinagoga Nuova, dove non ho visto un solo turista ma mamme con passeggini, gallerie d'arte, studenti, un teatro in attesa di un futuro. Seduta a un tavolino di una pasticceria (neanche troppo elegante), mi sono concessa per 2 euro e 50 una fetta di torta e un caffè incredibile, sul marciapiede di un mondo normale.
- Alexander Platz: sconclusionata e immensa, c'è tutta la contraddizione che serve a non sentirsi in colpa per nulla.
- Molta arte da molti musei.
- Molte foto.
- I tubi colorati e labirintici per scaricare l'acqua della faglia su cui galleggia la città.
- Il piacere di girare in bicicletta senza pericolo di morire; nel meraviglioso, straordinario, invidiabile, giusto e rassicurante rispetto delle regole. Tutte. Non solo quelle stradali. 
- Il cielo azzurro sopra Berlino dell'ultimo giorno.
- Una certa spensieratezza.










   











lunedì 9 maggio 2016

Finzioni analgesiche

Vabbè, a me l'Hangar Bicocca fa sempre l'"effetto estero". Infatti ci vado per fingere un viaggio risolutore della nausea esistenziale (ma figuriamoci!), per bere un caffè schifoso nel bar di design (a proposito, nel menù di mezzogiorno "per uffici" si legge: "primo H20 contorno caffè euro 10": ma porca puttana... H2O!! ma qualcuno dica qualcosa!) e per ciondolare con la macchina fotografica. Ci vado di domenica, alle due del pomeriggio, quando ci sono solo stranieri che piluccano avanzi di spuntini al salmone e poi si perdono chiacchierando fra esposizioni obiettivamente balenghe. Ci vado quando il cielo lattiginoso di Milano sembra quello di Berlino e invece affligge solo i casermoni di un quartiere che non finisce di convincermi, nonostante l'università e le vecchie fabbriche ristrutturate, con i mattoni al vivo e le scuole di ballo dentro. A parte che mi piacerebbe abitarci, in quei loft... con cortilone interno grande, tetti a dente di sega e lucernari in ferro battuto. Insomma, anche il mal di testa peggiore si fa da parte, per un'ora. Consigliato, come si dice nelle guide turistiche.


Eric Bunge-Mimi Hoang, Roof

El Equipo de Mazzanti, A limit-less Wall
M.G. Grasso Cannizzo, Acchiappasogni
Rural Studio, Sharing 
Carsten Höller, Doubt
Carsten Höller, Double Sphere
Osgemeos, Efêmero



lunedì 7 settembre 2015

Bitmap # Percezione/02

Non ricordare nulla, ricordare qualcosa, ricordare tutto.

Monkey World Ape Rescue Centre, Wareham, Dorset, UK (agosto 2015)

giovedì 27 agosto 2015

La verità, vi prego, sulla gioia

No, dico: è chiaro perché non capisco più niente quando le vedo?
La prima è un cucciolo; e anche l'ultima, che dorme, con il muso fuori.
La seconda e la terza sono due amiche.
Io sono la quarta: riconoscibilissima.
Chiedo scusa a tutti, le foto delle vacanze sono un tedio... 










martedì 3 marzo 2015

Giovane e bello

Non è vero che i gggiovani sono tutti dei minchioni, mammoni e senza iniziativa. Ci sono anche quelli che "esprimono il gene" con entusiasmo e sensibilità inaspettati. Nei corridoi del cinema Anteo, a Milano (sono andata a vedere "Birdman"... eh... ci sarebbe molto da dire: per esempio, uscite tutti sette minuti prima della fine! Ma santiddio, ma perché si deve rovinare una buona idea e una regia da 10 - dicono che ricordi Altman... può darsi... - con una trovata inutile e assurda e risibile?), sono esposti alcuni scatti di un viaggio in India di Alessandro Galli, un giovane medico neolaureato con la passione della fotografia. A parte le immagini, belle ovviamente, le righe che li accompagnano valgono da sole il tempo che si dedica loro (le riflessioni davanti alla pira, per esempio...). A 25 anni si può ancora rimanere incantati dall'umanità, dalla dignità e dal sorriso degli esseri umani, anche e soprattutto i più distanti da noi. Poi, eventualmente, si curano le piaghe, dentro e fuori dagli ospedali. 
www.sitohd.com/alessandrogalli/

mercoledì 18 febbraio 2015

Super Macro Stichespiralidoso

Sarà che ho un carattere di merda, sarà che non ho veramente più il tempo nemmeno per pensare, comunque alla fine ho mollato il corso di fotografia. C'è da dire che l'insegnante era un essere insopportabilmente presuntuoso e pedante, e che si è rivelato anche un filino stronzo (l'ho soprannominato il Pezzente). E che anch'io sono insopportabilmente presuntuosa, e quando mi ha copiato una foto mi sono girate le balle. Comunque, pedante quanto lui, non ho voluto nemmeno stampare le foto per la penosa mostra che aveva messo in piedi nei corridoi della scuola. Così lui ha avuto anche il mio spazio per esporre le sue fotine (compresa quella copiata da me, ma più brutta). Figuriamoci! E tutti quei post inutili su Facebook, a metà tra l'innamorato triste e abbandonato e il Cartier-Bresson dei poveri.
Dal momento però che non mi piace buttare via il bambino con l'acqua sporca, ammetto che per qualcosa mi è stato utile, il suddetto Pezzente. Poco sull'inquadratura, molto sull'utilizzo della luce e sulla profondità di campo. E poi mi ha messo in testa un capriccetto che ho soddisfatto, e che mi permetto di segnalare "ai miei venticinque lettori", se alcuni di loro fossero interessati (e non lo avessero di già). Trattasi del convertitore macro Raynox
(DCR-250). In sostanza si tratta di lenti aggiuntive da agganciare all'obiettivo per adattarlo a riprese macro. Ohhh! L'ho lasciato dormire sulla scrivania per qualche settimana e finalmente, in una domenica di sole, con la finestra spalancata per catturarne ogni raggio, mi sono dedicata. Ora, a parte il Pezzente, c'è molto da imparare. Non che io voglia fotografare il culo delle mosche, eh? Però... Un pistillo? Una venatura? Un seme? Vabbè, è un giochino, dai. Serve molta luce, però. E anche il telecomando per lo scatto ritardato. E il cavalletto, perché il mosso è assicurato. E il tempo di cui sopra. Ecco, appunto. Ma che sarà mai...