Bicocca

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Fausto Melotti, La sequenza, Milano

martedì 24 giugno 2014

Il futuro passato

La questione è assimilabile al mal d'Africa. Chi è stato in Irlanda per un po' lo sa: patisce vita natural durante quella sotterranea e insidiosa nostalgia di un posto che ovviamente non esiste più, se non nel proprio vissuto, più o meno aspro. Funziona così. Pensi sempre di tornarci l'estate prossima, o in giugno, quando il sole non tramonta mai, soprattutto pensi sempre di tornare lassù, in Donegal, a Killibegs, a vedere i pescherecci e a sentire la puzza del pescato e le onde grigie e cattive e il vento e il verde. Ma le estati, gli anni, i decenni passano e, se tutto va bene, ci torni una volta o due, e ti perdi fra strade irriconoscibili, paesaggi geneticamente modificati, odori e colori con sfumature che non appartengono più alla tua memoria stratificata, e che pure sembrano dirti ancora qualcosa. Persone dai volti nuovi. Nuove razze, nuove vite. 
Nei pomeriggi invernali, allora, quando la malinconia se la batte con la ragione, ti connetti a www.liveireland.com (Radio1, Irish Traditional & Folk), così, solo per sentire un po' di musica e due parole dall'accento fortissimo e convincerti che il teletrasporto emotivo esiste davvero. Poi guardi le foto di quella volta, canticchi il reef velocissimo, guardi il prezzo del traghetto, quest'anno ci vai. Ma da Cherbourg è lunga, se l'oceano è nervoso si vomita per 20 ore. Lasci stare. 
Quando succede qualcosa di cui i giornali parlano, ad esempio oggi tutti gridano che l'Irlanda è prima nella lista dei paesi più vivibili al mondo (segue elenco delle motivazioni, che è totalmente inutile, perché non c'è nulla di razionale, c'è solo la smania struggente di essere là e non qua, un vero e proprio futuro passato), allora si accende di nuovo il led del desiderio. A questo si aggiunge il mood letterario. Cerchi di starne alla larga, ma prima o poi ci ricaschi (tanto gli scrittori irlandesi sono tanti e prolifici e molto simili). Stavolta è il turno di Joseph O' Connor, fratello della cantante pelata: ha scritto tante cose belle e, a mio giudizio, anche bene ("La fine della strada", per esempio, ma prima anche "Cowboys and Indians", "Il rappresentante", "Stella del mare", "I veri credenti" e via così). La sua raccolta di racconti "Dove sei stato?" mi sta tirando giù, sempre più giù, perché è tutto così vero e così amaro e così irlandese e così mio. Quindi vado piano, per farlo durare, per stare male ma per bene, così poi si può risalire e aspettare la prossima stagione e la prossima scusa per non sapere che tutto cambia e che dentro di me non cambia mai niente.

mercoledì 18 giugno 2014

Le mie amiche e il temporale

Sono le otto di sera. Tuona forte, lampi giganteschi e spezzettati incrinano il cielo già scuro, già squassato dal frastuono. Scoppia il solito temporale, quello incazzato che mi spaventa sin da quando ero piccola, quello che mi tiene sveglia se sceglie la notte per arrivare, quello che mi fa scappare via dal mare, che mi toglie il respiro, che mi manda il cuore in gola. 
Mi affaccio sulla porta di casa, per affrontarlo da adulta, le gocce violente grandi come tazzine (mi sembra), un torrente d'acqua verticale che sbatte sui tetti, sui ballatoi. 
Ed eccole lì, le mie piccole amiche della ringhiera di fronte, con la nuova arrivata di quest'anno in braccio alla maggiore, come sempre. Sono sei, ormai. Il fagotto dell'anno scorso ora cammina e urla sul balcone tutto il giorno. Sono in fila, una accanto all'altra, in ordine di altezza, con le braccia alzate, il viso offerto alla pioggia scrosciante, i vestiti senza maniche bagnati; cantano felici, bevono l'acqua che invade la loro gioia, ridono, fradicie, con i capelli appiccicati al viso. Mi vedono, mi salutano: "Ciao!", e poi con la mano tutte, ciao, ciao... "Hai visto che bello?". La loro allegria rimette in ordine tutto, per due minuti; mi sbraccio anch'io, sorrido, ciao ragazze, sì, che bello... Il mio terrore, anche quello del temporale, si scioglie nei colori delle loro magliette aderenti e inzuppate, nei loro occhi scuri, nel grido pazzo ed entusiasta della penultima signorina, che grida sempre, ma stavolta di più. La mia inquietudine, che in questi giorni si salva nella rabbia, ora si bagna e gocciola via. Mentre anch'io provo a godermi lo spettacolo, sull'uscio al terzo piano di fronte appare il giovane papà. Poche parole, affettuose; immagino un "venite dentro, vi bagnate tutte!", e le bambine ubbidiscono. L'ultima mano sbuca per me, sotto la pioggia. Mi ritorna il batticuore.