Bicocca

Bicocca
Fausto Melotti, La sequenza, Milano

domenica 27 dicembre 2015

Meglio di niente

Alle 7 del mattino la piazza è già animata. Si montano i banchi del Marché Provençale, il vociare mi sveglia insieme al baccano dello scarico merci. Mi ricordo dove sono e perché, mi affaccio e guardo il cielo che si fa rosa, con la luna che si sgonfia. Il Bar Bacchus ha i tavolini affollati per il primo caffè della giornata, alla finestra sale l'odore del pesce fresco, del pane appena sfornato, della piastra della socca, cioè la farinata di ceci. Anche i gabbiani sono già eccitati, gridano come pazzi e svolazzano cattivi sui tetti, sono enormi. Ieri ho visto un cormorano grande come un tacchino, si asciugava al sole le ali spalancate, in bilico su uno scoglio. Mi preoccupa la mia calma apparente, ha il sapore della resa. Permetto alla vita di limitare la mia smania di sentire tutto subito tanto senza eccezioni. Guardo il mare, anche lui è come me, scuro, immobile e in attesa. Forse ha ragione lui, testa bassa e lasciar passare il tempo avverso. Con un po' di sforzo potrei scendere zoppicando sui bastioni, a respirare guardando giù.

martedì 8 dicembre 2015

Giovani adulti

Fra una fresca e l'altra, mi guardo intorno cercando di capire come funziona il microcosmo generazionale che non mi appartiene più. Finisce che inciampo in certe figure, che si riassumono più o meno in modelli, come quelli usati dai sarti: il tempo ritaglia intorno ad essi una vita italiana, nell'età in cui una volta si teneva già famiglia (o si era tornati dalla guerra, per dire...). Ho incontrato questi giovanotti, mi sono fatta raccontare le loro storie, ho misurato di nascosto il raggio del loro mondo. 


Fabio, caldaista
Ha 21 anni è di Corsico, vicino a Milano. Quando ne aveva 11 la madre se n'è andata di casa con un altro signore, lasciandolo con il padre e il fratellino di tre anni minore di lui. Dopo qualche tempo di convivenza infruttuosa, i ragazzini sono stati affidati alla nonna paterna, sola, pensionata, che li ha accuditi meravigliosamente. Portato a casa il diploma di perito meccanico (voto: 100 e lode), Fabio inizia a lavorare part-time in un'azienda che installa a manutiene caldaie. Al pomeriggio (e di sera) segue un corso per caldaista, per due anni. Al termine, il suo contratto da apprendista viene per questo convertito in uno a tempo indeterminato, anche perché: a) è bravissimo; b) il tecnico di 35 anni a tempo indeterminato che gli ha insegnato il mestiere viene licenziato perché costa 200 euro in più al mese, più contributi e tredicesima. Che si sa, in un anno, son soldi. Consapevole di questa fortuna, Fabio sgobba come un mulo, anche il sabato, anche in agosto, quando invece delle caldaie, installa condizionatori. Ma Fabio ha un altro progettino, incartato e conservato nello suo scomparto "sogni": fare il disegnatore meccanico, lavoro per il quale ha studiato a scuola. Ma il tempo è quello che è. E quindi, la domenica, versa un quarto del suo stipendio a un architetto che gli sta insegnando a lavorare in Autocad, in attesa della certificazione che potrebbe valergli un posto di lavoro da qualche altra parte. La ragazza ce l'ha, ma è una "figlia di papà", che richiede "troppe energie e troppi soldi" e, insomma, la tiene ma... Fabio è bellissimo, ha due occhi neri pazzeschi, un fisico da statua, un'intelligenza e una determinazione invidiabili. Gli piacerebbe anche comprare una casetta dove vivere con la nonna, ma non vuole esporsi troppo e poi, dice, la nonna è vecchia. Già. Si limita a fare la spesa al sabato sera, dopo il lavoro, a pagare le bollette, a mantenere il fratello (prossimo al diploma), ad adorare la vegliarda vicemamma. Insiste a sperare.

Francesco, impiegato ragioniere
Ha 29 anni, vive in un paesotto alle propaggini di Milano, figlio unico, abita ancora con mamma e papà. Dopo il diploma si è iscritto a Economia, ma non faceva per lui (troppo difficile?). Il padre gli ha trovato un posto da contabile nell'azienda di imballaggi di proprietà di un amico. Ci lavora da nove anni, da solo, senza colleghi. Fatture, bolle di accompagnamento, dare e avere; vicino a casa, alle 5 è fuori. I genitori, se ritarda mezz'ora, gli chiedono dov'è stato, cos'ha fatto. Non è un'aquila, anzi. Forse ha anche qualche problemino, a dir la verità. Però ha purtroppo anche la consapevolezza di vivere in una gabbia (sic!) e ovviamente vorrebbe volare via. Non lo fa per non addolorare i genitori o forse soltanto perché sa di non esserne capace. Chissà. Comunque sbircia fra una sbarra e l'altra, fa spuntare solo il becco della sua curiosità, annusa l'idea di migliorarsi, di scoprire un mondo "più dinamico", dice, più stimolante; e forse non sa neppure lui cosa vuol dire. Guarda l'architettura nuova della Milano "rinata" (così sostiene il vicesindaco), senza capire che cos'è bello e che cos'è brutto, cogliendo solo l'energia di un futuro a lui inaccessibile. Lo osservo: è davvero bruttino, si veste anche in modo approssimativo, viaggia con una borsa e un computer, mentre sorride educato scopro che gli manca anche un premolare. Insomma, si capisce che resterà dov'è, immaginando ogni tanto di vivere nelle (brutte) residenze Libeskind, che ammira dal basso di tutto. 

Antonio, l'insegnante vincitore di concorso 
Ha 28 anni, è nato vicino a Palermo. Due lauree, con la lode. Grazie a un punteggio esorbitante, guadagnato con pubblicazioni e supplenze, viene catapultato con un incarico forse annuale in un prestigioso liceo classico di Milano. Nel frattempo, ottiene l'assunzione a tempo indeterminato, in un altro istituto. Accetterà, a fine anno. Per ora si tiene le tre classi in cui insegna italiano e latino. Ha un corpo minuto, un accenno di barba, capelli già in procinto di prendere altre strade. Un accento fortissimo, che accompagna un eloquio gigantesco, a voce bassa; è un piacere ascoltarlo. Persino un accenno di ironia, ma proprio pochissima. Esempio preclaro del bravo giovane studioso, meridionale, che ce l'ha fatta a dispetto di tutto. Trapiantato nella nebbia (non deportato, come si usa dire a sproposito, di questi tempi), non ha perso un minuto di lezione. Con il pulloverino chiaro, la sciarpa già in ottobre, nonostante l'autunno caldo, e il suo aspetto minuto, umile. Troppo umile. Ha il complesso dell'età ("sono giòvane") e della provenienza: ecco perché non ingrana con gli studenti. Durante le sue ore questi beceri mangiano, si truccano, telefonano, parlano, scattano fotografie con il cellulare. Lui li riprende, nell'ostilità e nella derisione generale. "Cerco di portare ordine e per questo sono inviso", dice, con quell'"inviso" che già da solo denuncia il personaggio, che non registra alcuna assunzione di responsabilità. Fino a un mese fa la mamma gli preparava gli arancini, oggi è vittima della crudeltà di sedicenni dai modi animaleschi, che evidentemente non riesce ad appassionare né a intimorire. Vorrebbe essere molto e non è niente, le sue proposte cadono nel vuoto, restano solo i voti spelacchiati e ingiusti che assegna trincerato dietro linee guida ministeriali, che gli consentono di esercitare il riflesso di potere che vorrebbe avere. E intanto il tempo passa e lui cresce.