B. è una bella ragazza, bionda, ben vestita. Ha una ricca maglietta bianca ricamata, e un paio di pantaloni di lino bianchi. Elegante, curata. Non come le altre. È lì dentro da dicembre, io non l'avevo mai vista. Certo, ci vado poco. Il meno possibile. Vorrebbe uscire, infatti quando compongo il codice sulla tastiera della porta per entrare lei è al di là del vetro, spera di sgattaiolare, spera che nessuno se ne accorga, spera di riuscire a scappare. È fra le poche che capiscono, fra le poche che parlano, che concepiscono un pensiero. Fra le poche che sperano. Purtroppo.
È un'intrusa, più o meno.
Mi accoglie, mi saluta, mi segue, e interrompe la mia conversazione burocratica con chi comanda.
"Posso uscire?", chiede.
"No".
"Perché?"
"Lo sai perché. E poi sono occupata con questa signora, ne parliamo dopo".
"Mi comporto bene, te lo prometto".
"No".
Chi comanda prova a scusarsi con me: sono in tante, escono a turno, mi dice sorridendo,
a bassa voce. Oggi non è possibile.
Certo. Capisco. Ringrazio, infilo le carte firmate nella borsa, saluto dolcemente l'"ospite" per cui sono venuta e mi avvio all'uscita.
B. mi segue.
"Posso venire con te?", mi chiede.
"Devi chiedere il permesso... credo..."
"Posso andare con lei?", implora rivolta a una persona che non comanda, ma è lì per eseguire.
Permesso negato.
"No."
Mi si stringe un po' lo stomaco.
"La prossima volta...", propongo imbarazzata.
"Quando torni?"
"Non lo so.... "
Cerco una soluzione momentanea e oso un "Mi fai vedere la tua stanza?"
Mi accompagna. Mi mostra il suo letto. Sulla mensola in alto c'è un orso di peluche con la maglia dell'Inter. "Sei interista?"
"Sì."
Sul comodino ci sono alcune cornici portafoto. Ne prendo in mano una. "Chi è?", domando.
"Mia sorella".
"E questa sei tu?"
"Sì, da piccola. Nell'altra siamo io e mia sorella, da piccole". Anche la fotografia è minuscola, un po' sbiadita. Anni Ottanta. Due graziose bambine bionde. Lei è la più carina, ha gli occhi verdi.
"Che belle..."
"Sì".
"E i tuoi genitori?"
"Boh".
La prendo per mano, le chiedo quanti anni ha. Trentasette.
"Allora io vado...", sussurro.
"Ti accompagno".
Sono a disagio, so che vuole venire via con me.
"Certo. Allora la prossima volta andiamo giù a bere un succo di frutta", le dico. Le do un bacio sulla guancia.
"Quando sarà la prossima volta?"
"Presto".
"Quando?"
P.S.: Io dovrei andarci più spesso, lo so. Lo faccio con tanto dolore, per dovere. Però forse un giro lì dentro farebbe bene a tanti, almeno una volta nella vita. Così, tanto per vedere cosa succede quando qualcosa va storto.
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