Mia nonna Carla era una telespettatrice esigente (anche una radioascoltatrice esigente, a dir la verità). Si inchiodava davanti ai documentari che raccontavano il mondo, lei che da bambina aveva fatto il grande viaggio in nave, per emigrare negli Stati Uniti, nel 1912. Era andata molto male e una volta tornata al paese, orfana di madre e con qualche parola di inglese scolpita nella testa (Sciadap! Biutifol! Potetos!), non si era mai più mossa fino alla seconda emigrazione, nella Lombardia industriale postbellica. Le piaceva un sacco guardare in tv le storie e i costumi di popoli lontanissimi o vicinissimi, diceva che era come andarci di persona, soprattutto da quando mio padre le aveva regalato una delle prime televisioni a colori.
Devo aver ereditato qualcosa da lei, oggi che il computer ti porta dove vuoi. Preparo viaggi immaginari, visito luoghi, mi incanto davanti alle riprese di qualche webcam piazzata a New York, so cosa succede nella nuova Russia, oltre alle Femin e alle acrobazie sul lettone di Putin, salgo sull'Everest, scendo negli abissi.
Ieri sono capitata per lavoro sul sito del Centre de Cultura Contemporània de Barcelona (www.cccb.org). A parte l'incredibile offerta di eventi, dibattiti, installazioni, video e mostre (per esempio quella della World Press Photo 2013), varrebbe la pena anche solo scoprire come uno spazio vecchio e abbandonato, un tempo ospizio per i poveri, sia stato riportato alla vita e rianimato da una geniale e visionaria aggiunta architettonica, un muro di specchi eretto nel cortile che accende l'immaginazione in modo funzionale.
Detto questo, mi sono domandata: perché a Milano non c'è nulla di simile? Perché a mala pena sopravvive il PAC, con proposte modeste, visitate (poco) solo dai turisti stranieri?
Perché il progetto del Museo di Arte Contemporanea che doveva sorgere in mezzo allo scempio volumetrico della vecchia Fiera è stato cancellato? Perché sono rimasti solo decine di grattacieli residenziali vuoti (!!!) e un parallelepipedo di cemento in costruzione, che sarà la sede di una compagnia di assicurazioni?
La risposta è una sola: perché non ci sarebbero visitatori. Perché l'arte non interessa. Perché la cultura è diventata un lusso (come la scuola): 8 o 10 euro per il biglietto di ingresso sono tanti quando il 41% dei giovani è disoccupato; e, a differenza di Barcellona, non c'è una mezza giornata alla settimana con ingresso gratuito. Perché ai ragazzini si compra l'IPhone e non si insegna la gioia del pensiero, della scoperta. Perché questo vergognoso Ventennio ha prodotto anche e soprattutto questo: il deserto della curiosità. Ha cancellato il piacere di guardare, di ammirare, di ascoltare i segni. Non ha capito che di arte si può vivere, rivivere. Rinascere.
Dopo questa deriva amara sono tornata al CCCB e mi sono spostata sul sito del vicino Museu d’Art Contemporani (www.macba.cat). Ho guardato la meraviglia abbagliante del suo guscio, gioiellino di Richard Meier, e scorso le mostre in programma per il 2014: sono nove, una più bella dell'altra. Pensare che a Barcellona vanno tutti per Gaudì.
Poi si è fatto tardi, e il quotidiano mi ha richiamato. Prima di "spegnere", ho pensato: nonna, ho fatto un salto a Barcellona. Sapessi cos'ho visto...
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