Bicocca

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Fausto Melotti, La sequenza, Milano

sabato 23 novembre 2013

Allontanarsi, treno in transito

Le stazioni dei treni mi attraggono e mi distraggono. Mi piacciono tutte le stazioni, quelle gigantesche e caotiche, quelle piccole sulla costa, quelle di montagna, quelle anonime, quelle dall'architettura prepotente, quelle nuove, quelle che sono alla fine della linea ferroviaria, quelle di passaggio. Mi piace - tanto - la Gare de Lyon, anche se una volta ho perso il treno e l'ho attraversata di corsa, cercando dannatamente il quai giusto, e poi ho visto il culo dell'ultimo vagone che si allontanava... Mi piace Piazza Principe, dove mi commuovo sempre, perché sono una sentimentale e so cosa sto lasciando. Mi piace Penn Station. Mi piace anche la Centrale di Milano. 
Da quando l'hanno ristrutturata, non è più lei. L'hanno farcita come un panino con negozi monomarca, con vetrine enormi che espongono milioni di smartphone legati con il lucchetto ai ripiani di plexiglass, con bar, profumerie, grandi magazzini di elettronica. Hanno acceso luci violente che abbagliano la volta della galleria, e hanno messo dei tapis roulant lentissimi cui si accede dopo essere passati davanti a tutti gli orrendi spazi commerciali. Fra questi, c'è un punto vendita di una catena di cui non sapevo nulla fino a ieri, la spagnola Desigual. Musica a volume alto, abbigliamento e accessori coloratissimi, fra l'etnico e l'avanguardia. Sono entrata a curiosare, ho pensato: "Se avessi vent'anni mi comprerei qualcosa".
Poi ho capito che se avessi avuto vent'anni non avrei avuto i soldi per comprare nessuna delle meraviglie esposte. Forse i ventenni di oggi hanno una disponibilità economica diversa. Mi sono incamminata verso il piano binari e lì tutto è tornato più o meno come una volta. L'altoparlante che annuncia decine di ritardi, sporcizia, puzza di piscio, i muletti che pestano i piedi alle migliaia di viaggiatori che si scontrano correndo, sospinti dalla necessità.
I partecipanti alla scena sono di ogni colore e di ogni natura, dall'uomo in doppiopetto che si trascina la Samsonite al maghrebino che vende qualcosa, dalla scolaresca di ritorno dalla gita al pendolare sfinito che si affretta e smadonna contro il mendicante che gli si para davanti, dalla signora senza casa e senza denti al diplomatico che sale sul Freccia Rossa con la scorta. Qualche poliziotto passeggia in coppia chiacchierando del più e del meno, una voce avverte che la stazione è provvista di telecamere di sicurezza. Il tabellone richiama gli sguardi un po' troppo in alto; il celebre binario 21 è irraggiungibile a causa delle transenne dei lavori in corso. Qualcuno mi spintona, un tizio dagli occhi azzurrissimi mi chiede se il treno del binario 7 va a... E che ne so, io? Provo ad aiutarlo, si scoccia e corre via, lasciandomi con la parola a metà. Al piano binari non c'è molta luce. Tutto è scuro, buio, ogni tanto i lampi di pannelli pubblicitari ossessivi e violenti rischiarano per cinque secondi qualche metro quadrato di un selciato unto, nero, chiazzato. Mi è tutto familiare. Qualcuno si abbraccia, qualcuno piange, molti sono stanchi. Penso alle mie partenze e ai miei arrivi, a chi ho accompagnato e a chi ho accolto. Tanto tempo. La stazione, simbolo del viaggio, teoria pura di sopravvivenza.


Si è fatto tardi, l'altoparlante annuncia il solito ritardo e poi un treno in partenza per Zurigo. Chi aspetto arriva al binario 4, è finita la mia attesa: mollo il passato e mi concentro sul presente.

Scendo le scale infinite che mi riportano in piazza Duca d'Aosta. Cerco con lo sguardo la comunità di siriani, con molti bambini, che da settimane si rifugia qui, in attesa di proseguire la fuga verso Nord. Sono assistiti dai connazionali che portano abiti e cibo. Sono persone benestanti, scappate dalle bombe, sopravvissute a naufragi e incursioni delle forze dell'ordine, che fortunatamente ogni tanto fingono di non vederle. Anche la loro è una teoria di sopravvivenza: non devono farsi prendere le impronte digitali qui, altrimenti saranno costrette a chiedere asilo politico all'Italia, e non vogliono. I parenti li aspettano in Svezia. Magari qualcuno verrà a prenderli. Magari un pullman "sicuro" parte domani mattina.
Lo spero per loro.


Scivolo in metropolitana, aprendomi un varco nella calca del venerdì sera.
Ricordo una stazioncina tranquilla, il mare dietro ai binari.









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