Al terzo piano, quasi di fronte a me, vive una numerosa famiglia marocchina: ogni anno nasce un altro bambino, anzi, un'altra bambina. La più grande avrà ormai 7-8 anni, indossa l'hijab e bada alle più piccole durante le molte ore che trascorrono insieme sul balcone, non appena la temperatura lo consente (e anche quando non lo consente). Giocano rincorrendosi, oppure spingendosi su vecchie biciclettine o un triciclo, chiacchierando, muovendosi allegre con le bambole in mano lungo i pochi metri compresi fra le scale e il cesso in comune. Sì, perché al civico 12 ci sono ancora i cessi in comune, uno per piano: turche dalla porta di legno ad uso degli inquilini, adulti e bambini, italiani e stranieri, con o senza permesso di soggiorno: il cesso (ci) accomuna tutti quanti.
La ragazzina con l'hijab a volte corre sul ballatoio ridendo con la sorellina più piccola in braccio, un fagotto di pochi mesi sballottato ad altezza della ringhiera: quando la vedo, il cuore mi schizza in gola, mi assale il terrore che le cada di sotto ma non trovo il coraggio di richiamarla. La mamma si vede poco, il papà mai. Ci sono, ma non si vedono.
Quando esco o stendo la biancheria, le bambine ed io ci salutiamo sempre con la mano e una di loro mi manda dei baci. Sono baci bellissimi.
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