Bicocca

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Fausto Melotti, La sequenza, Milano

venerdì 29 maggio 2015

Il linguaggio del silenzio

Non sono molto portata per le lingue. Eppure mi danno da mangiare, quindi devo chinare la testa e sognare che gli anni che passano non mi tolgano la prontezza e la curiosità per mantenere quelle che parlicchio (o leggicchio). L'interesse ci sarebbe, è proprio l'attitudine che manca. Quattro anni di tedesco mi hanno dato molto sul momento, ma ho assimilato poco e con fatica, innescando per fortuna lo stupore quando un significato galleggia di nuovo nel mio stagno culturale. Mi stizziva attraversare la Germania e non capire cartelli e articoli in vendita nei negozi. Problema quasi risolto; altro è una conversazione poco più che minima con un teutonico. Ma  insomma, non si può avere tutto.
In coda nei miei desideri c'è anche il russo, pensiero fisso che sta lì, da decenni, in attesa di trovare il tempo e il coraggio di apprendere almeno le basi. Quella per la Russia è una passione antica, che pesca fra le memorie di un viaggio in URSS ai tempi del liceo, indimenticabile scoperta di un mondo che non esiste più.
I russi, sì, con tutta "quella roba lì"...

Ma c'è un'altra lingua che vorrei sapere, e bene: quella dei segni. Mi affascina in quanto inaccessibile mezzo di comunicazione, che supera il limite della parola per cogliere l'essenziale, purgato da fronzoli e aggettivi. Sono consapevole che è una ricchezza non voluta di chi non parla e/o non sente, che volentieri rinuncerebbe a quelle smorfie e a quegli arabeschi in aria per poter chiacchierare, urlare, discutere, spiegare o dire soltanto una battuta. Lo so, e non intendo ferire nessuno. Però quando ieri ho visto una coppia di signori in coda in libreria, che "parlavano" di libri nel loro silenzio assoluto, senza essere raggiunti dalla musica ad alto volume, dai capricci di un bambino, dagli squittii di due ragazzine con Henry Potter in mano, dal "bip" del lettore di codice a barre, io li ho invidiati, nella loro purissima comunicazione. Ho immaginato la gioiosa condivisione (e chissà se ho immaginato bene!) per essersi concessi il libro di Zerocalcare e quello di Benni, pregustando la serata sul divano. Poi lui un po' innervosito dall'attesa si è allontanato e ha lasciato lei alla cassa, che con pochi cenni e un grazie stentato, finalmente, ha pagato e ritirato il suo bottino.
E chissà, magari invece spettegolavano sul destinatario del regalo. O si rimbeccavano per un malinteso vecchio di tre giorni, o programmavano il fine settimana. O si raccontavano la giornata. E poi, comunque, erano fatti loro. E io lì, impalata, a fissare le mani che volteggiavano e poi il sorriso di lei, con un piccolo inchino e la mano che saluta.

3 commenti:

  1. sono d'accordo con te: visto da fuori, cioè senza considerare la necessità che vi è dietro, il linguaggio dei segni è la punta più alta e affascinante della comunicazione.
    ml

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  2. Vero? Grazie di condividere questa cosina... Bello.

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  3. e mi fai pensare al mio amico toni che sostiene che l'invenzione del linguaggio è stata la sconfitta dell'uomo che ha temuto di non saper comunicare le emozioni solamente con gesti ed espressioni del corpo. :-)
    ml

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