Itinerario interessante fra morte e rinascita. Ho lasciato decantare "Riparare i viventi" per un anno, perché sono sempre sospettosa di fronte a successi editoriali con relative celebrazioni in ogni dove. Partendo dalla forma, la scrittura è epica, magnifica ma con uno stile fin troppo articolato, con riferimenti un po' esagerati da cogliere, soprattutto se si legge nottetempo o nelle attese della quotidianità. Poi a me personalmente piace la precisione nella narrazione, quindi niente da dire sulla perfetta aderenza del racconto al tecnicismo medico, da trattato di anatomia. Alla McEwan, per capirsi. L'autrice avrà chiesto una rilettura a un chirurgo e ha fatto bene, un certo distacco aiuta. Certo, un bell'esercizio, ma secondo me leggermente fuori contesto. Cioè, quando spieghi a una madre che suo figlio è morto, forse un livello più piano non nuoce. Detto questo, è bella l'idea di riassumere la vita di ogni personaggio che entra nella storia, sottraendolo così al ruolo funzionale per aprire altre storie dentro la storia, tra l'altro umanissime.
Ma: poi le devi chiudere, 'ste storie! Mi chiedo ancora come sia finita la vicenda sentimentale dell'infermiera o a chi siano stati impiantati i reni (e le chirurghe alsaziane?).
Insomma, visto che non si poteva menarla troppo lunga (per ovvie ragioni), a un certo punto Maylis de Kerangal ha sterzato e via, tutti a casa. E pazienza se manca qualche pezzo.
Romanzo corale, che abbraccia una storia di eccezionale normalità, solleva dal lutto per rigenerare speranza. Salvare il cuore, per salvare tutti. Riparare, questo, non lo so.
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