Bicocca

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Fausto Melotti, La sequenza, Milano

lunedì 21 settembre 2015

À la guerre comme à la guerre

Ieri era domenica e al civico 12 c'era aria di festa. La comunità del primo piano lato strada, presumibilmente del Bangladesh, si è raccolta con amici e parenti sul pianerottolo per mangiare, ridere, chiacchierare e soprattutto cantare. I bambini in cortile, molti ed eleganti, si rincorrevano e giocavano chiassosi, fra un tappeto steso, tricicli appesi al muro, biciclette, sedie, bidoni dell'umido. Niente di strano né di inusuale. Vabbè, alle due del pomeriggio, lo ammetto, tutto questo casino era un oltraggio alla quiete pubblica e io stessa, che per ragioni varie avrei voluto schiacciare un pisolino, ho sbuffato. Tutto lì: un vago fastidio, accentuato dal tepore di fine estate che permette ancora di tenere le finestre aperte... dormicchiare con l'arietta sarebbe stato impagabile. 
Invece il nostro condomino del primo piano ha espresso in altro modo la sua contrarietà. Non si tratta esattamente di un galantuomo: Bruno (nome di fantasia), ha in carniere diversi soggiorni nelle patrie galere per spaccio e reati affini; si dice - ma io ci credo -  che abbia fatto qualcosa di brutto alla sua mamma, santa donna; non lavora da anni; è coperto di debiti; è irascibile e spesso in stato di ebbrezza, a esser buoni. Francamente è uno dei motivi per cui vorrei traslocare. Nella migliore delle ipotesi aggredisce i manutentori dell'ascensore che quindi se ne vanno lasciando il lavoro a metà e cinquanta famiglie, per lo più composte da vecchi, sono costrette ad arrampicarsi a piedi per cinque piani. Oppure sbraita nel cuore della notte, presumibilmente contro creditori o pusher, litiga furiosamente con chiunque, fa il gradasso, estorce denaro, racconta balle, non paga le spese del condominio da anni, insulta telefonicamente l'amministratore quasi ogni giorno. Anni fa, un precedente amministratore, minacciato, si è rifiutato di rinnovare il suo incarico. Insomma, una presenza difficile, con cui anch'io ho avuto un diverbio, a suo tempo.
Ora, Bruno vive in modo conflittuale la vicinanza con la comunità multietnica del portone accanto. Si tratta soprattutto di scaramucce dovute al rumore: spesso i ragazzi esagerano, tamburi fino alle tre del mattino, feste, canti, urla, litigi... non è proprio un'oasi di tranquillità. Allora lui ha escogitato un sistema per combattere ad armi pari, si fa per dire: la musica ad alto volume.
"Vediamo chi si stufa prima", mi ha detto tutto orgoglioso, qualche mese fa. "Non li faccio più dormire!": finestre spalancate, radio o cd a tutta gallara, selezione musicale alla bisogna: Laura Pausini, Renato Zero, Mango, Fiorella Mannoia (per fortuna!), Pooh, Tiromancino (!!!), Tiziano Ferro, Zarrillo (eh...) e via così. Rigorosamente cantanti italiani, meglio se voci femminili (ma allora perché non Mia Martini, o Mina, per dire?), roba da Radio LatteMiele o GammaRadio, ma senza interruzioni o speaker; si viaggia sicuramente oltre i 150 decibel, con effetto rimbombo del cortile.
Allora, a parte che così non dorme più nessuno, tanto meno "noi" del 14, e soprattutto non dormo io, a me sembra che "loro" siano rimasti del tutto indifferenti.
La solfa, è proprio il caso di dire, è continuata fino alle 9 di sera, quando forse le energie di disturbati e disturbatori si erano affievolite fino a scomparire, comprese le mie. Ero ormai decisa a scendere al primo piano e dire stancamante, quasi supplicando: "Bruno, ascoltami: se ne fottono di Marco Mengoni, credimi."
La notte si è salvata, dai tamburi e da Mino Reitano.
Fino alla prossima.

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