Sala d'attesa di un ospedale, alle 7 di mattina, con tutta la mia paccottiglia per lavorare, computer, cellulare, prolunghe, stampe, pdf... La giornata si preannuncia lunga, devono assestare il mio babbo. Sono nervosa, abbiamo anche litigato e si sa... Al tavolo vicino al mio, si siedono una dottoressa e una signora, giovane, ma con i capelli corti e bianchi. Inizia una conversazione molto intima, io continuo a battere le dita sulla tastiera, testa bassa, ma le parole mi trafiggono. "Questo è un discorso difficile... lo faccio a lei perché ho capito che siete una famiglia con cui si può ragionare apertamente... Il nostro ospedale è in contatto con... vi offriamo la possibilità di donare... non deve decidere adesso... ne parli con i suoi cari... sa, si scatenano tante emozioni... il senso di colpa, ma anche la gioia di poter aiutare qualcuno... non si vedrà nulla (..?...)... ". Sollevo appena lo sguardo. La signora sorride, sembra sollevata, non c'è un velo di angoscia sul suo viso, non una lacrima. "Sono molto contenta, certo, mi sembra una cosa bellissima... ora sento cosa ne pensano gli altri, ma so già che la mamma sarà d'accordo...". Si alzano, l'imbarazzo è meno palpabile, come se la crosta di ghiaccio sopra il dolore si fosse un po' sciolta.
Sento l'alito della morte che volteggia sopra di me, satura l'aria, dà la stura ai miei ricordi, al mio lutto grumoso, sento la bocca farsi amara. Poi penso che anch'io vorrei donare tutto e con un sorriso cinico cerco nel mio corpo l'organo meno malandato da offrire al mercato. Boh... Gli occhi no, sono miope. Il fegato no, il cervello non ne parliamo, le ginocchia... oddio... il cuore! Il cuore è sano. Sano ma spezzato. Sorrido, non si regala un cuore spezzato nemmeno al peggior nemico.
Guardo fuori dai finestroni, dal settimo piano, si è fatta luce, si vede tutta la città. Laggiù ci sono anche le montagne... Per un minuto sogno di nuotare in mare aperto, con il blu sotto...
Alle 7 di sera vado a casa. Ho rimesso tutto via, il pc, la prolunga, il pdf, il cellulare, il mio babbo finalmente assestato che mi ha chiesto se hanno eletto il presidente della Repubblica, nel frattempo. No, ho risposto, domani. Ormai convergono tutti su Mattarella. Se ti dimettono in tempo, te lo guardi alla televisione. La signora con i capelli bianchi è ancora lì. Incrociamo i nostri sguardi, con un sorriso dolce. Buonanotte. Buonanotte.
Bicocca
sabato 31 gennaio 2015
venerdì 23 gennaio 2015
Sole di gennaio
Ella va in bicicletta con il sole di gennaio, a mezzogiorno. Ella pensa che è dolce, quel sole sul viso. Ella pensa che fra poco il glicine ricoprirà quella casa lì, davanti a quei giardini lì. Ella guarda il Castello, rosso su cielo blu e la fontana e la gente seduta in pace sulle panchine. Ella si ferma e fa scatta una foto. Ella mangia un panino con due amiche e un amico, li abbraccia, si lascia abbracciare. Ella fa battute sceme e oscene, ella ride forte, tutti ridono forte, ella è felice. Ella vive.
domenica 18 gennaio 2015
Buon compleanno!
I capelli neri ricci. Le scarpe senza lacci. Una Guzzi 500. Poi c'è stato un po' di tutto. L'incendio, il rapimento, niente lavoro, nuovo lavoro, piazza Duomo alle sei e mezza, rose arancioni, New York, la paura, il Guzzone, la izquierda spagnola e le risate, lo schianto, la "decisione", la perdita, la risalita, il California, l'isola di Skye, la neve, lo stomaco, la Cina, l'oceano, niente lavoro, nuovo lavoro, lo stomaco, Hey Jude, un'altra paura (grande), Parigi, la ripartenza. Il mio ragazzo cinquantenne. Auguri.
venerdì 9 gennaio 2015
E domani?
La mia città è stravolta. Sono le quattro del pomeriggio, hanno chiuso
la metropolitana, evacuato il Trocadero, chiuso gli studenti dentro le scuole
di due arrondissements; dei pazzi invasati girano con kalashnikov e lanciarazzi e ammazzano non solo le persone e la libertà,
ma anche il pensiero e il futuro. Chi parla di guerra santa, chi di inferno,
chi di dialogo, chi di ovvie conseguenze, chi di democrazia, chi di barbarie.
Io guardo questo importante pezzo di me che brucia, e riverbera in me il disprezzo
per tutte le religioni, che da sempre annegano la ragione dell’uomo nella
prevaricazione e nell’odio. Tanto dolore, tanto orrore e un gran vuoto dentro.
E domani, vedremo cosa rimane.
giovedì 8 gennaio 2015
lunedì 5 gennaio 2015
La colla di Parigi
Non sono in vacanza. Sto incollando i miei pezzi.
Una signora legge in metropolitana, seduta di fronte a me, "La philosophie dans le boudoir". Io avevo 18 anni quando l'ho letto e forse ha ragione lei, serve la maturità per apprezzarlo.
Le tre vie sotto casa sono una riproduzione in miniatura di Shanghai. Nessun occidentale, a parte me, che scendo il giorno di Natale a comprare il detersivo per i piatti. Mi viene la fregola del bok choy, poi mi passa, non ho l'olio per cuocere. Nel supermercato, con piano interrato, non c'è un solo articolo il cui nome sia scritto con le lettere dell'alfabeto. Gironzolo incuriosita, poi uno di loro mi spinge alla cassa. Ha le borse piene di alimentari sconosciuti. Io mi concedo un'enorme tolla di litchi sciroppati.
Al Beaubourg ci sono quattro mostre da vedere: Duchamp, i palloncini di Jeff Koons, Delaunay, Frank Gehry. Mi ci chiudo un pomeriggio. Qui l'arte è davvero accessibile: si può toccare (quasi sempre), fotografare (sempre), sentire, vivere, anche quando non la capisci. Salgo sulla terrazza mentre il sole scende oltre il profilo della mia gioia.
Lo zucchero filato rosa più gigantesco e più buono del mondo lo vendono due vecchi molto lerci (marito e moglie), in prossimità di Place de la Concorde. I ricchi e i turisti si fanno fottere dalle bancarelle più avanti, sugli Champs Elysées. Meglio.
Sabato mi impunto e vado all'As du Fallafel, che ovviamente è chiuso per shabbat. Ripiego su Hannah, crumiri o blasfemi, il fallafel è buono uguale e mi ci ingozzo. Così dopo due giorni ce l'ho ancora lì. Ma perché...?
Tra l'altro, chi ha deciso che il mercato di Richard Lenoir questa settimana non si tiene? Ma sono pazzi!
Con il buio pago l'esorbitante cifra di 15 euro per entrare al Grand Palais, dove hanno allestito la "patinoire plus grande du monde". I pattini sono inclusi nel biglietto, ma ovviamente non ci penso neanche. Mi lascio impressionare dalle luci psichedeliche, dalla musica, dalle centinaia di pattinatori, dalle volte con le vetrate, dallo spazio immenso che sovrasta la pista di ghiaccio. Sono tutti eccitati, e anch'io, lo ammetto. Maledetto ginocchio.
Domenica sera vado a mangiare le mie sante cozze da Léon, ché la domenica sono "a volonté". Infatti esagero, oltre ogni limite di decenza. Cozze cozze cozze cozze cozze... patatine patatine patatine patatine patatine...
Tornando a casa, in Square du Temple, due clochard, di quelli veri, mangiano, bevono (molto) e ridono dentro la loro tenda montata sopra la grata della metropolitana, al caldo, si fa per dire. Se non fosse eticamente inammissibile, direi che li invidio.
Ho la netta percezione che in un anno sono invecchiata di dieci, più dei cani.
- Per girare le ghiere della macchina fotografica devo togliere gli occhiali da miope che devo rimettere subito per inquadrare e scattare, con l'aiutino della regolazione diottrica.
- Il ginocchio a cui ho tolto il menisco ormai non regge più: zoppico vistosamente e le infiltrazioni di acido ialuronico non le posso più fare a causa di un'altra disgrazia. Le scale della metrò sono state una mazzata.
- Mi stanco subito.
- Ho mal di schiena: questo è il peso e non l'età. Porca puttana.
- Ho sempre freddo. Sarà il vento.
La musica è di tutti. Lo pensa anche un pianista di straordinario talento che ha fissato due ruote di una carriola al retro del piano e se lo porta in giro. Suona dannatamente bene, davanti all'uscita delle Galéries Lafayette, fra folle di persone incuranti, poliziotti che dirigono il traffico fischiando come ossessi, qualcuno che si ferma e gli compra il cd. Sorride con una gratitudine sorpresa e mi chiedo: ma è giusto che questo si esibisca sul marciapiede e non in un teatro? Chissà cosa ne pensa. Probabilmente la musica nutre a sufficienza il suo io, non serve altra platea. Mi vergogno del mio pensiero meschino.
Linda è una cagna orribile, grassa e flaccida, a metà fra un boxer e un carlino, sbava, ha gli occhi grandi, lucidi e buoni, la pelle del muso rosa. Il suo padrone lancia il pane ai gabbiani che svolazzano schifosi sul Canal Saint-Martin. Mi fermo a chiacchierare con lui, che ovviamente assomiglia alla sua cagna buona. Ascolto insieme a lui la mia calma, che da quando sono qui ha soppiantato i cattivi pensieri. Stiamo bene, noi due, guardiamo l'acqua torbida. Salgo sul ponte a fotografare la chiusa, poi scendo, Linda trotterella storta e solleva gli occhi verso i miei; lui se ne va, salut.
Scendendo da Buttes-Chaumont incrocio rue de Belleville, dove la vita fila veloce. Passeggini, carrelli, borse della spesa, ragazzi, uomini con la tracolla e la giacca aperta, macellai arabi, negozi di frutta e verdura con le zucche e la frutta un po' troppo matura, tutta gente di colore e per lo più povera. La scuola è chiusa, compro il pane, mi siedo su un gradino di un negozio, guardo tutta questa normalità colorata senza visitatori alieni; sono indecisa se vorrei comprarla qui, la casa, o giù, intorno a rue Mouffetard, dove ci sono botteghe che vendono anche le ostriche (che non mangio), perché la gente sta meglio, lì.
Infatti, guardo i cartelli esposti dalle agenzie immobiliari. Ci sto pensando davvero.
Porto il mio piccolo segreto dentro a Notre-Dame. Ognuno ha il suo.
E molte altre cose.
Fuori c'è vento. Un vento forte, da Ovest. Il mio vento.
Finisce questo tempo, e anche la colla. Ma sto meglio.
Qui sto sempre meglio.
Una signora legge in metropolitana, seduta di fronte a me, "La philosophie dans le boudoir". Io avevo 18 anni quando l'ho letto e forse ha ragione lei, serve la maturità per apprezzarlo.
Le tre vie sotto casa sono una riproduzione in miniatura di Shanghai. Nessun occidentale, a parte me, che scendo il giorno di Natale a comprare il detersivo per i piatti. Mi viene la fregola del bok choy, poi mi passa, non ho l'olio per cuocere. Nel supermercato, con piano interrato, non c'è un solo articolo il cui nome sia scritto con le lettere dell'alfabeto. Gironzolo incuriosita, poi uno di loro mi spinge alla cassa. Ha le borse piene di alimentari sconosciuti. Io mi concedo un'enorme tolla di litchi sciroppati.
Al Beaubourg ci sono quattro mostre da vedere: Duchamp, i palloncini di Jeff Koons, Delaunay, Frank Gehry. Mi ci chiudo un pomeriggio. Qui l'arte è davvero accessibile: si può toccare (quasi sempre), fotografare (sempre), sentire, vivere, anche quando non la capisci. Salgo sulla terrazza mentre il sole scende oltre il profilo della mia gioia.
Lo zucchero filato rosa più gigantesco e più buono del mondo lo vendono due vecchi molto lerci (marito e moglie), in prossimità di Place de la Concorde. I ricchi e i turisti si fanno fottere dalle bancarelle più avanti, sugli Champs Elysées. Meglio.
Sabato mi impunto e vado all'As du Fallafel, che ovviamente è chiuso per shabbat. Ripiego su Hannah, crumiri o blasfemi, il fallafel è buono uguale e mi ci ingozzo. Così dopo due giorni ce l'ho ancora lì. Ma perché...?
Tra l'altro, chi ha deciso che il mercato di Richard Lenoir questa settimana non si tiene? Ma sono pazzi!
Con il buio pago l'esorbitante cifra di 15 euro per entrare al Grand Palais, dove hanno allestito la "patinoire plus grande du monde". I pattini sono inclusi nel biglietto, ma ovviamente non ci penso neanche. Mi lascio impressionare dalle luci psichedeliche, dalla musica, dalle centinaia di pattinatori, dalle volte con le vetrate, dallo spazio immenso che sovrasta la pista di ghiaccio. Sono tutti eccitati, e anch'io, lo ammetto. Maledetto ginocchio.
Domenica sera vado a mangiare le mie sante cozze da Léon, ché la domenica sono "a volonté". Infatti esagero, oltre ogni limite di decenza. Cozze cozze cozze cozze cozze... patatine patatine patatine patatine patatine...
Tornando a casa, in Square du Temple, due clochard, di quelli veri, mangiano, bevono (molto) e ridono dentro la loro tenda montata sopra la grata della metropolitana, al caldo, si fa per dire. Se non fosse eticamente inammissibile, direi che li invidio.
Ho la netta percezione che in un anno sono invecchiata di dieci, più dei cani.
- Per girare le ghiere della macchina fotografica devo togliere gli occhiali da miope che devo rimettere subito per inquadrare e scattare, con l'aiutino della regolazione diottrica.
- Il ginocchio a cui ho tolto il menisco ormai non regge più: zoppico vistosamente e le infiltrazioni di acido ialuronico non le posso più fare a causa di un'altra disgrazia. Le scale della metrò sono state una mazzata.
- Mi stanco subito.
- Ho mal di schiena: questo è il peso e non l'età. Porca puttana.
- Ho sempre freddo. Sarà il vento.
La musica è di tutti. Lo pensa anche un pianista di straordinario talento che ha fissato due ruote di una carriola al retro del piano e se lo porta in giro. Suona dannatamente bene, davanti all'uscita delle Galéries Lafayette, fra folle di persone incuranti, poliziotti che dirigono il traffico fischiando come ossessi, qualcuno che si ferma e gli compra il cd. Sorride con una gratitudine sorpresa e mi chiedo: ma è giusto che questo si esibisca sul marciapiede e non in un teatro? Chissà cosa ne pensa. Probabilmente la musica nutre a sufficienza il suo io, non serve altra platea. Mi vergogno del mio pensiero meschino.
Linda è una cagna orribile, grassa e flaccida, a metà fra un boxer e un carlino, sbava, ha gli occhi grandi, lucidi e buoni, la pelle del muso rosa. Il suo padrone lancia il pane ai gabbiani che svolazzano schifosi sul Canal Saint-Martin. Mi fermo a chiacchierare con lui, che ovviamente assomiglia alla sua cagna buona. Ascolto insieme a lui la mia calma, che da quando sono qui ha soppiantato i cattivi pensieri. Stiamo bene, noi due, guardiamo l'acqua torbida. Salgo sul ponte a fotografare la chiusa, poi scendo, Linda trotterella storta e solleva gli occhi verso i miei; lui se ne va, salut.
Scendendo da Buttes-Chaumont incrocio rue de Belleville, dove la vita fila veloce. Passeggini, carrelli, borse della spesa, ragazzi, uomini con la tracolla e la giacca aperta, macellai arabi, negozi di frutta e verdura con le zucche e la frutta un po' troppo matura, tutta gente di colore e per lo più povera. La scuola è chiusa, compro il pane, mi siedo su un gradino di un negozio, guardo tutta questa normalità colorata senza visitatori alieni; sono indecisa se vorrei comprarla qui, la casa, o giù, intorno a rue Mouffetard, dove ci sono botteghe che vendono anche le ostriche (che non mangio), perché la gente sta meglio, lì.
Infatti, guardo i cartelli esposti dalle agenzie immobiliari. Ci sto pensando davvero.
Porto il mio piccolo segreto dentro a Notre-Dame. Ognuno ha il suo.
E molte altre cose.
Fuori c'è vento. Un vento forte, da Ovest. Il mio vento.
Finisce questo tempo, e anche la colla. Ma sto meglio.
Qui sto sempre meglio.
giovedì 1 gennaio 2015
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