Il confessionale di ogni blogger serve anche a purgare le proprie colpe. O presunte tali. Allora: visto che la meno di continuo a tutti che la vita è breve e voglio vedere sempre posti nuovi, qui intendo spiegare - in forma di elenco - perché torno sempre nella città più bella del mondo. Ammesso che questa sia una colpa e non solo una sana contraddizione.
Alcuni motivi per cui cerco di andare a Parigi almeno ogni due anni (o anche di più, ma non sempre ci riesco):
- per la luce
- per le luci
- per sentire l'odore di ferro e binari e banchina e aria pesante della metropolitana
- per vedere le piastrelle bianche delle stazioni della metropolitana e anche le pubblicità concave sui muri che promuovono spettacoli teatrali e/o musicali; e quasi mai telefonini
- per maledire le decine di rampe di scale della metropolitana
- per fermarmi ad ascoltare chi suona nella metropolitana
- per sentire le conversazioni
al cellulare dei passeggeri in metropolitana, soprattutto quelle in arabo o
africano che ogni tanto dicono una frase in francese (e capisco solo
quella, per esempio "Ah oué d'accord").
- per dire ogni volta che prendo la metropolitana che la metropolitana a Parigi passa ogni 3 minuti e a Milano ogni 20 e che è una vergogna
- per controllare che alcune cose siano ancora così com'erano la volta prima
- per incazzarmi perché hanno chiuso quel posto della volta prima per far spazio a un negozio di vestiti di merda che nessuno compra
- per mangiare le cozze di Léon, anche se Léon ha ristoranti in tutta la Francia e le cozze sono le stesse ovunque
- per mangiare i fallafel dell'As du Fallafel e poi vomitarmeli in bocca per 24 ore
- per fare le foto, quasi sempre le stesse e alle stesse cose e poi ricordarmi che le avevo già scattate identiche due anni prima e quattro anni prima e sei anni prima, però stavolta sono venute meglio e l'angolazione era migliore e anche la luce (ma figuriamoci..!)
- per visitare un cimitero a scelta ogni due anni e star lì davanti alla tomba di uno famoso a scelta che mi ha segnato l'esistenza
- per entrare a Notre Dame e fare sempre lo stesso pensiero, perlopiù malinconico, le ultime volte proprio triste
- per salire "au sommet" della Tour Eiffel e fare sempre lo stesso pensiero ("ohhhhh!!!!")
- per guardare la Tour Eiffel dal Trocadero e pensare che mi sembra enorme
- per guardare la Tour Eiffel da sotto e pensare che è davvero enorme (e che ci sono troppi cinesi)
- per comprare una fetta di flan gigantesca e mangiarla per strada, sporcandomi le mani
- per guardare le vetrine delle librerie
- per fissare i copricapi colorati delle donne di colore ad Abbesses (e in Blv Rochechouard) e sentirmi in Africa per cinque minuti
- per scegliere cosa non vedere, questa volta... e pazienza (e soffrire: e se poi fra due anni non torno?)
- per camminare con gli occhi in su sbirciando i soffitti a trave delle case e invidiare di brutto quelli che ci vivono, che poi mica è vero che son per forza felici; e però...
- per dire che Parigi è il mio analista che mi mette a posto senza farmi domande inopportune e a minor prezzo
- per mettermi a posto
- per guardare la tv francese, soprattutto i canali di televendita e le boiate tipo varietà con cantanti improbabili e presentatori brutti e francesissimi
- per vedere la cupola delle Galeries Lafayette, che soprattutto a Natale è proprio bella: dio, che meraviglia!
- per parlare in francese con la gente, così ogni tanto qualcuno mi fa i complimenti perché parlo francese
- per andare nella piazza più bella del mondo e stare lì in silenzio e pensare che bello sarebbe aprire le finestre e affacciarsi in Place des Vosges (e questa non la salto mai)
- per vedere il Blv Saint-Michel e dire che è troppo commerciale, ormai... e dirlo da vent'anni
- per dire che il Quartier Latin è una fogna per turisti tristi
- per lamentarmi che i parigini sono stronzi e corrono sempre e spingono (che cazzo spingi?)
- per lamentarmi perché anche i milanesi sono stronzi e corrono sempre e spingono e Milano non è Parigi
- per comprare minchiate di porcellana bianca o altre cose da cucina inutili e mediamente costose nel negozio La Vassaillerie di rue de Rennes
- per fare la spesa al mercato di Blv Richard Lenoir, e avventarmi soprattutto su formaggi puzzolenti che spesso non mi piacciono neanche e tanfano nel frigo; ma anche per comprare le spezie e le mandorle salate da mangiare per strada, le mandorle, intendo
- per sporgermi dai ponti per vedere la Senna marroncina e le chiatte piene di sabbia che passano sotto di me e fotografarle e ripetere sempre "La Seine a de la chance, elle n'a pas de soucies... ecc.", che noia
- per constatare che ogni volta che ci vado c'è più sporcizia per strada e che non è giusto
- per constatare che ogni volta che ci vado ci sono più clochard per strada e che a maggior ragione non è giusto
- per perdere tempo ciondolando senza motivo in posti sconosciuti ai turisti, sia tristi sia felici
- per vantarmi con me stessa e con "le monde entier" che ormai giro senza cartina, quindi è casa mia
- per continuare a credere che in un'altra vita ho abitato qui
- per continuare a sperare di venire a morire qui, come un elefante
- per essere certa che esisto ancora e che quindi ci torno fra due anni: è inutile piangere in stazione prima di salire sul treno per Milano e anche sul treno.
Ecco. Ce ne sono molti altri, ma ho rispetto del lettore, se c'è.
Bicocca
martedì 31 dicembre 2013
sabato 28 dicembre 2013
È Natale (non badare)*
Nella città più bella del mondo, il Natale è anche questo. Cerco sollievo nei due cagnolini.
Le foto, le altre, la prossima volta.
(*cit. da "Spazzacamino", Rusconi-Cherubini-Bixio, 1929)
Parigi, rue d'Arcole, 25 dicembre 2013 |
Le foto, le altre, la prossima volta.
(*cit. da "Spazzacamino", Rusconi-Cherubini-Bixio, 1929)
mercoledì 18 dicembre 2013
Otherwise we go on the rocks
Non credo che la colpa sia tutta di Schettino. Erano tutti in plancia, tutti sapevano tutto. Sapevano che la velocità era eccessiva, che la rotta era sbagliata, che il timoniere non capiva bene gli ordini, che c'erano molti problemi tecnici, che la carta non era dettagliata, che non si dovrebbe fare l'inchino, che il comandante era "distratto" quella sera, che non ci si "ammutina", che a volte tacere è meglio, se poi con lui ci devi navigare ancora. Sapevano tutto, anche l'armatore sapeva. Ridevano, in plancia, quella sera.
E anche noi sappiamo tutto.
Sappiamo a chi obbediamo, sappiamo che la rotta di questo Paese è stata impostata male, molto male e da molto tempo, sappiamo chi è stato, sappiamo che dobbiamo navigarci ancora, e non ci ammutiniamo. A meno di due miglia dal disastro, al buio, senza nemmeno le scialuppe di salvataggio, stiamo aspettando di capire chi è al comando, e abbiamo anche smesso di ridere.
E invece bisognerebbe virare di brutto e in fretta, perché a me sembra che stiamo proprio andando a scogli.
E anche noi sappiamo tutto.
Sappiamo a chi obbediamo, sappiamo che la rotta di questo Paese è stata impostata male, molto male e da molto tempo, sappiamo chi è stato, sappiamo che dobbiamo navigarci ancora, e non ci ammutiniamo. A meno di due miglia dal disastro, al buio, senza nemmeno le scialuppe di salvataggio, stiamo aspettando di capire chi è al comando, e abbiamo anche smesso di ridere.
E invece bisognerebbe virare di brutto e in fretta, perché a me sembra che stiamo proprio andando a scogli.
domenica 8 dicembre 2013
Se gela
Lidl, sabato mattina. Il supermercato è pieno, coda alle casse. Ormai (o finalmente) anche gli italiani ex benestanti vengono a fare la spesa qui, il risparmio è sensibile; e la qualità
è una variabile che ogni giorno diventa meno importante. Nel parcheggio mi avvicina un signore; è arruffato, con un giaccone aperto, magro. "Mi scusi signora, posso riconsegnare il suo carrello?". Me lo chiede con gentilezza, con dignità, senza aspettarsi niente. Non è il solito rom insistente e villano, è il vicino di casa, il collega, il compagno di scuola. Ringrazio educatamente, non serve, faccio da me. Il signore sorride, si volta, va a riporsi in disparte, come una cosa, vicino al muro, lontano dal viavai, per non disturbare.
Riporto il carrello e mentre cammino la lama del dolore e della vergogna affonda nel mio stomaco. Riaffiora "Il sole dei morenti", di Jean-Claude Izzo, mi manca il respiro, come quando l'ho letto. Mi avvicino al signore e gli passo il pegno di questa mia sofferenza.
Lui puzza di solitudine, di miseria, di alcol, di abbandono, di rinuncia, soprattutto. Sorride ancora, sorride, mi ringrazia. Ci guardiamo. In questo mondo e in tutti i mondi, se gela, è un attimo. Anche lui è scivolato.
è una variabile che ogni giorno diventa meno importante. Nel parcheggio mi avvicina un signore; è arruffato, con un giaccone aperto, magro. "Mi scusi signora, posso riconsegnare il suo carrello?". Me lo chiede con gentilezza, con dignità, senza aspettarsi niente. Non è il solito rom insistente e villano, è il vicino di casa, il collega, il compagno di scuola. Ringrazio educatamente, non serve, faccio da me. Il signore sorride, si volta, va a riporsi in disparte, come una cosa, vicino al muro, lontano dal viavai, per non disturbare.
Riporto il carrello e mentre cammino la lama del dolore e della vergogna affonda nel mio stomaco. Riaffiora "Il sole dei morenti", di Jean-Claude Izzo, mi manca il respiro, come quando l'ho letto. Mi avvicino al signore e gli passo il pegno di questa mia sofferenza.
Lui puzza di solitudine, di miseria, di alcol, di abbandono, di rinuncia, soprattutto. Sorride ancora, sorride, mi ringrazia. Ci guardiamo. In questo mondo e in tutti i mondi, se gela, è un attimo. Anche lui è scivolato.
venerdì 6 dicembre 2013
Bitmap # Costruire/01
Alba sulla gru. C'è poesia anche nello scempio volumetrico di questa città.
Che una luce così accolga Madiba, uomo immenso.
Che una luce così accolga Madiba, uomo immenso.
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