Allora. A cavallo degli Anni ’90, la Germania dell’Ovest si
è comprata ai saldi quella dell’Est, con annessi e connessi. I tedeschi dell’Ovest
han detto a tutti che quelli dell’Est erano dei pezzenti, tutti spie (o quasi),
schiavi e/o complici della Stasi, ignoranti e lazzaroni, mantenuti dallo Stato,
arretrati culturalmente. Eroe chi scappava, vile e comunista (d’apparato, anche…)
chi non ci provava.
Da quando hanno picconato il Muro sia quelli dell’Ovest sia
quelli dell’Est si sono prodigati più o meno amichevolmente per cancellare ogni
traccia del passato, demolendo edifici (soprattutto) e attribuendo ogni
elemento funzionale all’etica socialista reale, brutta e cattiva. I tedeschi
dell’Ovest hanno cambiato persino l’aspetto di quelli dell’Est, li hanno
impiegati in posti statali (nelle scuole, per esempio… erano bravi
insegnanti di tedesco e matematica), oppure li hanno messi a produrre in
fabbrica, assimilandoli ai turchi. Con un generico sguardo
commiserevole li hanno tenuti lontani dai posti di comando. Fino alla Merkel,
che avrà piazzato i suoi sodali là dove era utile. E si sa, una buona dose di
esperienza organizzativa serve sempre.
Insieme poi, i tedeschi tutti hanno pensato, secondo un
rodato ingegno capitalista, di far fruttare il marchio DDR, con musei in quasi ogni
città dell’Est, possibilmente nella locale sede dell'Ufficio del Ministero di
Sicurezza dello Stato, nei quali hanno esposto merce di vario genere che a noi ricorda quella degli Anni ’50 invece risale agli Anni ’80 (sai che reperti!), foto di
Honnecker che stringe la mano a Gorbaciov, esempi di lugubri sistemi di controllo dei
media, parrucche, pance e occhiali finti per i pedinamenti della polizia segreta, oggetti
da campeggio, timbri postali, materiale di reclutamento per informatori, bandiere,
ricostruzioni di celle per interrogatori, cassette Basf per registrazioni
telefoniche, pezzi di muro di Berlino, caschi asciugacapelli da parrucchiere, masserizie
di uso comune, tappeti di lana inneggianti all'unità dei lavoratori (questa sconosciuta). Danno anche un finto visto d'entrata nella DDR e per soli 2 euro (!) aggiuntivi, si possono scattare fotografie.
A margine delle istituzioni, singoli privati vendono in
strada maschere antigas e colbacchi, indumenti militari, spillette, robe così. Saggi del regime a pochi euro, disponibile per tutti. Ai turisti noleggiano persino le Trabant. O le espongono,
insieme a pezzi di motore.
Ché si sa, il comunismo è sconfitto, l’individuo trionfa e soprattutto pecunia non olet.
Capitolo a parte, che merita non poco, è quello dell’edilizia.
Dato per certo che i “casermoni socialisti” sono brutti, dove è stato possibile
(o conveniente o necessario) li hanno rasi al suolo. E continuano a farlo. Oppure
li hanno dipinti con colori pastello, per cancellare il “grigiore”, ideologico
prima che cromatico. Perciò, sfrecciando in bicicletta a Dresda si vedono enormi
ruspe che inghiottono una roba di 6/7
piani di cemento armato con finestroni quadrati. Chissà chi
ci ha lavorato o abitato (dal punto di vista architettonico la funzione è
spesso indistinguibile). Oppure, appena fuori dal centro di Lipsia, si
attraversano quartieri un po’ anonimi, i famosi blocchi abitativi che, per quanto orripilanti, non hanno niente a che vedere con alcune periferie
italiane (il milanese quartiere Gratosoglio ne è un esempio).
Qualcosa è rimasto in piedi per disattento rispetto per passato, per criteri economici o
perché neanche le bombe strategiche degli Alleati ne hanno avuto ragione. Non
si sa a chi credere. In ogni caso, in un paio di decenni il processo di
rimozione, almeno all’apparenza, ha funzionato.
Le persone, invece, quelle son difficili da cancellare.
Soprattutto i vecchi (tanti, forse perché siamo in estate). Hanno proprio uno sguardo diverso, una postura
diversa, un modo di vestirsi diverso. Hanno anche un tedesco diverso, più
asciutto, più aspirato, più aggressivo. Sono gentili, ma l’atteggiamento è
ancora quello di chi non si fida (sempre i vecchi). Efficienti nelle loro
professioni, pubbliche o private, ma poco inclini alla chiacchiera. Forse è
anche un retaggio prussiano. Così, a prima vista, non sembrano immensamente più
felici di quando li ho incontrati nel 1988. I colori sono gli stessi. Molto ingenuamente, mi chiedo se
bastino le ruspe e l’ostensione delle reliquie sovietiche per costruire una
società felice, ammonendo i posteri. Se omologare il consorzio umano buttando via tutto, si possa definire progresso. Così, dal Baltico a Lubecca, dal Magdeburgo a Usedom, il rigore
formale si accompagna a una strana idea di rinnovamento, una passata di
candeggina su trent’anni di storia. Adesso, nonostante l’economia fiorente e la
disoccupazione al 6,1%, la posizione dominante e tutto il resto, in Germania come ovunque i poveri sono
davvero poveri e i ricchi davvero ricchi. I giovani neanche lo sanno, com'era solo pochi anni fa. E poi ci
sono gli immigrati: appunto, dove sono? Non qui.
(Berlino, è un caso a sé. E quindi richiede una riflessione a sé.)
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Museo della Stasi, Lipsia |
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