Bicocca

Bicocca
Fausto Melotti, La sequenza, Milano

giovedì 6 febbraio 2014

La metamorfosi

Premesso che su questo argomento ho i nervi scoperti (e non solo su questo, per la verità), sottopongo le mie riflessioni al solito lettore pietoso che si avventura a leggere questo blog.

Quando si perde il lavoro si perde anche una parte consistente di sé? Domanda retorica: sì.

Eppure quello che si può definire "scivolamento professionale" non dovrebbe coincidere con lo "scivolamento personale". Mi sforzo di credere che anche se un giorno ci si sveglia senza più né sedia né ruolo, in teoria si resta la persona di prima, con le stesse capacità e le stesse idee. Almeno per un periodo.

La realtà invece mi è testimone del contrario: senza lavoro sei una merda.
Ti inventi prospettive inesistenti, ti disperi, aspetti. Nella migliore delle ipotesi accetti il ripiego. Fino a qualche tempo fa, questo non accadeva immediatamente: si vagliavano tutte le ipotesi. Ora di ipotesi non ce ne sono più, quindi si anela direttamente alla sopravvivenza lavorativa, pur di non trasformarsi velocemente in una merda. Più passa il tempo e più questa merda collassa su se stessa.
 

Se si è fortunati, ci si ricicla. Da ingegnere informatico superspecializzato a semplice consulente di software gestionale per le banche (a contratto);
da caporedattore a traduttore freelance di fumetti satirici (previa gara di traduzione e con malcontento della categoria dei traduttori); da commessa o impiegata a babysitter (in nero).

Se si è mediamente fortunati, si "va in mobilità". Cioè, se lavori in un'azienda di una certa dimensione e con una rapresentanza sindacale decente, ti viene offerta la vantaggiosa opportunità di accettare un incentivo all'esodo volontario e ricevere un contributo dello Stato per enne mesi (dipende dall'età e dall'anzianità di servizio), in attesa di trovare un altro lavoro. In questo caso, mi scrive il mio amico ingegnere elettronico lasciato a casa senza neanche un plissé, "l'INPS paga contributi previdenziali e una indennità mensile, e in cambio può succedere di essere destinati a lavorare temporaneamente presso enti pubblici, per mansioni che siano il più possibile simili alla propria ultima esperienza di lavoro". Ecco. A lui l'hanno chiamato, per una possibilità di LSU ("Lavoro Socialmente Utile"). La convocazione è arrivata da una scuola media statale. Bene, si è detto il mio amico. Ovvio che non avrà a che fare con l'insegnamento (ci mancherebbe! E i precari? Quanto si incazzerebbero? Il doppio dei traduttori di fumetti satirici!!). Però magari sarò utile alla comunità, che a sua volta contribuisce ad alleviare il mio stato di disoccupato dopo 25 anni di lavoro altamente qualificato. Potrò mettere le mie capacità al servizio di un'istituzione che sicuramente avrà bisogno di una mano, magari con un progetto di informatizzazione o con l'ottimizzazione delle risorse multimediali... chissà!

Il mio amico si sbagliava. Il colloquio era per un posto di ... bidello! Ovviamente qualcuno di più qualificato - seppur in mobilità - gli è passato davanti. E io che già lo immaginavo a migliorare il sofware della biblioteca scolastica, oppure a imbastire piccoli corsi di informatica o scienze applicate...  Nel solco della tradizione italiana non gli hanno nemmeno "fatto sapere" più nulla: ha evinto da sé che la proposta era morta lì. Continua a mandare curricula in giro, consapevole che la sua esperienza è poco spendibile e che l'età è un ostacolo. E la collettività ha perso un'occasione: lui è veramente bravo e poteva davvero restituire, almeno in parte, l'aiuto ricevuto. In altri Paesi funziona così, e funziona benissimo. E non avanzi neanche il tempo, mentre cerchi un lavoro, di trasformarti in una merda.

Se invece si è sfortunati, è l'abisso. Dolore, fatica, senso di fallimento, vuoto esistenziale, nessun futuro da immaginare. Tenore di vita stravolto, coda al Centro per l'Impiego, i genitori che ti pagano il dentista, a volte ti riprendono addirittura in casa, te e la tua famiglia, in quattro, nella tua vecchia cameretta.

E quindi?
 

Quindi, se non hai il carattere del mio amico, che non si arrende mai ed è una persona fiduciosa ed equilibrata, dopo un po' arriva la metamorfosi: ti senti una merda anche se non lo sei ancora diventato, e poi, piano piano, lo diventi per davvero.
 

Presto si sviluppa anche una certa incomunicabilità, fra chi lavora e chi non lavora. Una strana sensazione di appartenere a due mondi diversi: come chi è malato e chi no, chi ha il figlio disabile e chi ha il figlio sano, chi "ci è passato" e chi no, chi è "dentro" e chi è "fuori". Ecco la parte di noi che perdiamo: ogni relazione si snatura, ogni discorso è mediato, ogni pensiero è un sottinteso. Ogni energia è volta a saldare gli insoluti. Il prezzo è un'involuzione senza fine, crudele, avulsa da tutto. 
Non so cosa possa salvarci dalla débâcle: un libro? Una giornata di sole? Il confronto con chi sta peggio? La risata di un'amica? Tutto, probabilmente. E, soprattutto, un altro lavoro. 

Nessun commento:

Posta un commento