Bicocca

Fausto Melotti, La sequenza, Milano
mercoledì 21 maggio 2014
Europa chi?
Sarà anche un derby fra l'Ebetino e il Forsennato, con il Pregiudicato (vecchio e biascicante e stancamente ripetitivo che, se non fosse per il rancore che gli porto per aver distrutto il mio Paese, ieri mi avrebbe anche fatto pena). Ma a me sarebbe piaciuto sentir parlare un po' più di Europa, di proposte (non soluzioni, perché credo che sia difficile parlare di soluzioni) per l'immigrazione, di strategie economiche, del Trattato di libero scambio Usa-Ue, di energia, di ambiente, di istruzione, di giovani. Avrei voluto ascoltare idee, motivazioni, richieste. Avrei voluto capire che cosa vogliamo per i nostri figli, non solo italiani (e disperati), ma anche francesi, greci, portoghesi e sì, anche tedeschi. Perché l'accelerazione violenta degli ultimi dieci anni ha fatto saltare tutte le coordinate, perfino ideologiche, innescando conflitti a lungo termine, radicati, dolorosi. Povero contro povero, italiano contro siriano, intelligente contro stupido. A parte i benedetti 80 euro, i vaffanculo e Dudù, cosa succederà nei prossimi cinque anni? Che ne sarà del nostro Vecchio inContinente e delle sue risorse, se ancora ne ha?
sabato 10 maggio 2014
mercoledì 7 maggio 2014
A-social
L'esperienza di far parte di un mondo in comunicazione continua, anche non voluta, è per me faticosa. La mia naturale ritrosia, la riservatezza, il gusto della scoperta, il libero arbitrio, anzi, il concetto stesso di scelta - che mi appartiene caratterialmente - sono messi a dura prova ogni giorno. Dalle continue proposte di Amazon di prodotti la cui traduzione ho cercato su Google per lavoro, alle offerte per vibratori o allungapene o creme di bellezza, ai viaggi in ogni angolo del mondo e in strutture di ogni fascia di prezzo (!), alle finte mail che mi chiedono il numero di carta di credito per verificare non so che: gli spunti per scrivere questo post non mancano e peccherebbero anche di poca originalità, lo so. Ma ultimamente è successo, tardivamente, quello che è capitato a moltissimi fruitori dei social network, di ogni genere: mi hanno cercato i vecchi compagni di classe! Una classe di persone che a mala pena si sono rivolte la parola per 5 anni e che se la vorrebbero rivolgere adesso con un piatto di lasagne davanti, per vedere l'effetto che fa. Non mi è bastato non essere utente di Facebook.
Si comincia con una telefonata (sono ancora sull'elenco, ahimé). Stiamo organizzando una rimpatriata (mioddio che brutta parola...) ecc. Presa alla sprovvista, all'ora di cena, soffocata dalle incombenze, balbetto senza entusiasmo un "ah" e, improvvida, fornisco il mio indirizzo e-mail alla squillante interlocutrice, oggi avvocato.
Segue una prima comunicazione dell'organizzatore, che spiega come l'idea sia nata dai soli cinque individui che dopo decenni sono ancora in contatto.
Colta meno in contropiede della prima volta, rispondo garbatamente che sono contenta di risentirlo (eravamo compagni anche alle elementari, diciamo che non sono prevenuta), ma esprimo le mie perplessità sul senso di spendere una serata con persone che non vedo da così tanto tempo e di cui non ho sentito la mancanza. E che, parimenti, non hanno sentito la mia, di mancanza. Altrettanto cortese, l'organizzatore mi invita a riconsiderare l'iniziativa in modo positivo e mi assicura che mi terrà aggiornata sulla ricerca ("che è più divertente della scoperta"). Cosa ci sia di divertente nello scovare pezzi di passato remoto con cui non si ha più nulla a che fare da un'eternità, non lo so.
E da quel momento, signori miei (come dice il giovane Renzi), si innesca lo spamming, quello vero. Mai diretto a me personalmente, però: piano pianino gente di cui non ricordo nemmeno il nome (sono sconcertata: buio pesto! Com'è possibile che non abbia ritenuto che pochi volti?), "risponde a tutti" dicendosi felicissima e curiosa, ben trovato a Tizio, ben tornato a Caio...
Gira anche un file di Excel con nomi e cognomi, indirizzi e-mail, cellulari, tutti dati sensibili che mi spaventa anche solo leggere.
In casa l'evento suscita un dibattito critico. Qualcuno sostiene che io mi vergogni "della mia vita di merda" (ma figuriamoci! con il mio gradiente di superamento delle prove anche l'amministratore delegato di una certa compagnia di assicurazioni o il magistrato che partecipano a questo assurdo gioco scomparirebbero in un secondo! Mi piace vincere facile...). Qualcuno si stupisce che non provi nemmeno un po' di curiosità per sapere com'è andata a finire (no, non la provo). Qualcuno dice, più verosimilmente, che non mi va di elencare la sfilza di "inciampi" che mi sono capitati, a fronte di successi magari inaspettati. Insomma, mica tanto inaspettati: la mobilità sociale di questo moribondo paese è quella che è: siamo rimasti tutti al nostro posto, chi su e chi giù dalla scala. Amen. Io, per onestà, aggiungo alle motivazioni che non voglio rivedere una certa persona, che però al momento è ancora nella lista dei dispersi, per fortuna.
Sono fatta così, caccio via dal mio circolo sentimentale privatissimo chi mi ha ferito, e il bando è senza scadenza. Nella migliore delle ipotesi perdo l'interesse, ma anche il sempiterno risentimento ha la sua importanza, lo ammetto.
E così si va avanti, per settimane. L'unica compagna/amica con cui sono in contatto (persa e ritrovata) condivide il mio pensiero e quindi ogni tanto ci scappa una risatina. Lei si ricorda di un tale che oggi è violinista, io trovo due vecchie foto in cui non riusciamo a identificare almeno sei o sette persone, e ci sembra che ci sia anche un intruso: quello piccolo, moro, non era di terza? Emergono brandelli di notizie e di ricordi, gente incontrata per caso in metropolitana, o in un negozio, negli anni: una forse ha adottato un figlio, quell'altra ha preso anche la maturità magistrale e insegna alle elementari, due si sono sposati e poi separati, molti sono diventati fenomeni, ovviamente (date le premesse di ceto), e quello che mi piaceva ora lavora in banca, è ancora un bell'uomo. L'ho riconosciuto in un video su Youtube (allegato alla sua mail) solo dal suo sguardo. Aspetto ancora che "mi faccia sapere"... La ciellina invece è ancora molesta; la secchiona è finita immeritatamente a fare un lavoro d'archivio, ed era così brava... poverina. C'è anche il solito polemico, che offende il mittente di una mail in cui in calce c'è l'invito a versare il 5 per mille a un'università privata. Già, perché a parte pochissimi, tutti scrivono dal loro indirizzo del lavoro: isitituti bancari, ministeri, aziende varie, studi legali, studi di architettura, studi non si capisce di che, università. I @gmail.com e gli @yahoo.it sono due o tre.
Ormai la data è certa, come il ristorante e tutto il resto.
Ieri ho ricevuto la prima e unica mail scritta a me personalmente (a parte quella dell'organizzatore): la ragazza che sedeva nel banco davanti mi scrive "per convincermi a partecipare" (sic!) e per chiedermi i riferimenti dell'unico che davvero non sono disposta a rincontrare, a nessun costo. Per educazione butto lì due righe: no, non so che fine abbia fatto (o forse sì, ma direi che non importa, a questo punto) e no, non vengo, preferisco ricordare tutti com'erano.
Da vivi, mi vien da dire.
Si comincia con una telefonata (sono ancora sull'elenco, ahimé). Stiamo organizzando una rimpatriata (mioddio che brutta parola...) ecc. Presa alla sprovvista, all'ora di cena, soffocata dalle incombenze, balbetto senza entusiasmo un "ah" e, improvvida, fornisco il mio indirizzo e-mail alla squillante interlocutrice, oggi avvocato.
Segue una prima comunicazione dell'organizzatore, che spiega come l'idea sia nata dai soli cinque individui che dopo decenni sono ancora in contatto.
Colta meno in contropiede della prima volta, rispondo garbatamente che sono contenta di risentirlo (eravamo compagni anche alle elementari, diciamo che non sono prevenuta), ma esprimo le mie perplessità sul senso di spendere una serata con persone che non vedo da così tanto tempo e di cui non ho sentito la mancanza. E che, parimenti, non hanno sentito la mia, di mancanza. Altrettanto cortese, l'organizzatore mi invita a riconsiderare l'iniziativa in modo positivo e mi assicura che mi terrà aggiornata sulla ricerca ("che è più divertente della scoperta"). Cosa ci sia di divertente nello scovare pezzi di passato remoto con cui non si ha più nulla a che fare da un'eternità, non lo so.
E da quel momento, signori miei (come dice il giovane Renzi), si innesca lo spamming, quello vero. Mai diretto a me personalmente, però: piano pianino gente di cui non ricordo nemmeno il nome (sono sconcertata: buio pesto! Com'è possibile che non abbia ritenuto che pochi volti?), "risponde a tutti" dicendosi felicissima e curiosa, ben trovato a Tizio, ben tornato a Caio...
Gira anche un file di Excel con nomi e cognomi, indirizzi e-mail, cellulari, tutti dati sensibili che mi spaventa anche solo leggere.
In casa l'evento suscita un dibattito critico. Qualcuno sostiene che io mi vergogni "della mia vita di merda" (ma figuriamoci! con il mio gradiente di superamento delle prove anche l'amministratore delegato di una certa compagnia di assicurazioni o il magistrato che partecipano a questo assurdo gioco scomparirebbero in un secondo! Mi piace vincere facile...). Qualcuno si stupisce che non provi nemmeno un po' di curiosità per sapere com'è andata a finire (no, non la provo). Qualcuno dice, più verosimilmente, che non mi va di elencare la sfilza di "inciampi" che mi sono capitati, a fronte di successi magari inaspettati. Insomma, mica tanto inaspettati: la mobilità sociale di questo moribondo paese è quella che è: siamo rimasti tutti al nostro posto, chi su e chi giù dalla scala. Amen. Io, per onestà, aggiungo alle motivazioni che non voglio rivedere una certa persona, che però al momento è ancora nella lista dei dispersi, per fortuna.
Sono fatta così, caccio via dal mio circolo sentimentale privatissimo chi mi ha ferito, e il bando è senza scadenza. Nella migliore delle ipotesi perdo l'interesse, ma anche il sempiterno risentimento ha la sua importanza, lo ammetto.
E così si va avanti, per settimane. L'unica compagna/amica con cui sono in contatto (persa e ritrovata) condivide il mio pensiero e quindi ogni tanto ci scappa una risatina. Lei si ricorda di un tale che oggi è violinista, io trovo due vecchie foto in cui non riusciamo a identificare almeno sei o sette persone, e ci sembra che ci sia anche un intruso: quello piccolo, moro, non era di terza? Emergono brandelli di notizie e di ricordi, gente incontrata per caso in metropolitana, o in un negozio, negli anni: una forse ha adottato un figlio, quell'altra ha preso anche la maturità magistrale e insegna alle elementari, due si sono sposati e poi separati, molti sono diventati fenomeni, ovviamente (date le premesse di ceto), e quello che mi piaceva ora lavora in banca, è ancora un bell'uomo. L'ho riconosciuto in un video su Youtube (allegato alla sua mail) solo dal suo sguardo. Aspetto ancora che "mi faccia sapere"... La ciellina invece è ancora molesta; la secchiona è finita immeritatamente a fare un lavoro d'archivio, ed era così brava... poverina. C'è anche il solito polemico, che offende il mittente di una mail in cui in calce c'è l'invito a versare il 5 per mille a un'università privata. Già, perché a parte pochissimi, tutti scrivono dal loro indirizzo del lavoro: isitituti bancari, ministeri, aziende varie, studi legali, studi di architettura, studi non si capisce di che, università. I @gmail.com e gli @yahoo.it sono due o tre.
Ormai la data è certa, come il ristorante e tutto il resto.
Ieri ho ricevuto la prima e unica mail scritta a me personalmente (a parte quella dell'organizzatore): la ragazza che sedeva nel banco davanti mi scrive "per convincermi a partecipare" (sic!) e per chiedermi i riferimenti dell'unico che davvero non sono disposta a rincontrare, a nessun costo. Per educazione butto lì due righe: no, non so che fine abbia fatto (o forse sì, ma direi che non importa, a questo punto) e no, non vengo, preferisco ricordare tutti com'erano.
Da vivi, mi vien da dire.
domenica 27 aprile 2014
Un bel dì vedremo
Teatro La Fenice, qualche giorno fa. Volevo solo entrare a godermi il rosso e l'oro e l'azzurro della volta... Ma c'erano le prove della Madama Butterfly, in programma la sera. Se vuole... può assistere. Ho voluto. Due ore di tumulto e una struggente malinconia che mi ha ricordato una voce che non canta più e che solo in quel modo comunicava con la mia parte buona e intatta, mille anni fa.
Un po' per celia e un po' per non morire, proprio così. Il coro muto ha finito il lavoro. "Bravissimi!", ha detto il direttore (Giampaolo Bisanti), con addosso una maglia scura, "Grazie signori, perfetto!". Perfetto.
Un po' per celia e un po' per non morire, proprio così. Il coro muto ha finito il lavoro. "Bravissimi!", ha detto il direttore (Giampaolo Bisanti), con addosso una maglia scura, "Grazie signori, perfetto!". Perfetto.
mercoledì 16 aprile 2014
Quello dal cuore urgente
È passato più di un anno. Il tempo necessario perché ne possa parlare senza piangere. Quando Enzo Jannacci è sceso dal tram, pioveva. La mattina dopo, mentre andavo a fare la spesa, ho fatto una deviazione per passare davanti alla clinica Columbus, per salutarlo. Era presto, un po' di gente della mia età e anche più vecchia arrivava con l'ombrello e i mazzi di fiori, l'anima sfatta, proprio come me, che invece mi sono fermata lì di fronte, in macchina, senza scendere. Quando ci penso sento il male che torna su, anche se non era una persona a me cara, nel senso comune. Ma era la mia unica piccola infanzia buona, il primo 45 giri che mi ha regalato mio papà, "Ho visto un re" e il sovversivo lato B, "Bobo Merenda" (meglio non raccontare, meglio). E poi "Vengo anch'io", cantata a squarciagola nei secoli dei secoli, e "Vincenzina e la fabbrica", e "L'Armando", e "Giovanni il telegrafista" (con quell'aggettivo bellissimo, "ellittico"), e poi lo strazio infinito di "Io e te". E di "Ti te se no".
No, riesco ancora a parlarne senza piangere. Ma glielo dovevo, 'sto pensiero.
Giovanni telegrafista, quello dal cuore urgente,
non disse parola, solo le rondini nere
senza la minima intenzione simbolica
si fermarono sul singhiozzo telegrafico
Alba è urgente.
No, riesco ancora a parlarne senza piangere. Ma glielo dovevo, 'sto pensiero.
Giovanni telegrafista, quello dal cuore urgente,
non disse parola, solo le rondini nere
senza la minima intenzione simbolica
si fermarono sul singhiozzo telegrafico
Alba è urgente.
sabato 5 aprile 2014
Il nuovo paradigma di Silvia
Silvia in poco tempo ha perso due cose: il lavoro e la mamma. Son due cose grandi, da perdere. Insieme, poi...
Silvia ha poco più di 50 anni, è una donna in gamba, ha una famiglia, le idee chiare.
Silvia era molto brava, al lavoro. Era una ricercatrice. Una di quelle su cui puoi contare, sveglia, precisa. Insieme a molti altri è stata buttata via, come una ciabatta che non serve più. Perché oggi funziona così e ormai sta diventando normale, e non ci stupiamo neanche più, perché questa stagione del mondo ha falsato ogni metro di giudizio, ha raso al suolo vite e dignità come un tornado. Si tira solo avanti, ed è già tanto.
Anche la mamma di Silvia era brava. Aveva superato tutto, "la guerra e l'inquinamento", poi è ridiventata figlia, come spesso accade, e Silvia l'ha accompagnata fino in fondo, come spesso accade.
Quando le sue giornate si sono svuotate, Silvia si è chiesta cosa fare. Ha deciso di applicare la sua capacità di sintesi per dare un senso alle macerie e non fissarle con il cuore devastato. Ha preso il suo nuovo tempo e l'ha consegnato alla LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, www.lilt.it), ha cambiato nome alla sua intelligenza e ha iniziato a dare una mano a chi si sente perso, a cercare e trovare competenza, dal basso, ogni martedì e poi di più, e poi insieme ad altre persone e poi e poi...
Mi ha detto che si "è presa una pausa" dalla vita precedente, che ora tutto rinasce in lei, che non sa se riuscirà a trovare un lavoro, che non si possono più fare programmi a lungo termine e questo è proprio vero; che lei può aspettare (per fortuna).
E per fortuna davvero qualcuno, mentre varca la porta dell'indicibile, la può incontrare, sorridente, e sentirsi meno solo.
Silvia ha poco più di 50 anni, è una donna in gamba, ha una famiglia, le idee chiare.
Silvia era molto brava, al lavoro. Era una ricercatrice. Una di quelle su cui puoi contare, sveglia, precisa. Insieme a molti altri è stata buttata via, come una ciabatta che non serve più. Perché oggi funziona così e ormai sta diventando normale, e non ci stupiamo neanche più, perché questa stagione del mondo ha falsato ogni metro di giudizio, ha raso al suolo vite e dignità come un tornado. Si tira solo avanti, ed è già tanto.
Anche la mamma di Silvia era brava. Aveva superato tutto, "la guerra e l'inquinamento", poi è ridiventata figlia, come spesso accade, e Silvia l'ha accompagnata fino in fondo, come spesso accade.
Quando le sue giornate si sono svuotate, Silvia si è chiesta cosa fare. Ha deciso di applicare la sua capacità di sintesi per dare un senso alle macerie e non fissarle con il cuore devastato. Ha preso il suo nuovo tempo e l'ha consegnato alla LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, www.lilt.it), ha cambiato nome alla sua intelligenza e ha iniziato a dare una mano a chi si sente perso, a cercare e trovare competenza, dal basso, ogni martedì e poi di più, e poi insieme ad altre persone e poi e poi...
Mi ha detto che si "è presa una pausa" dalla vita precedente, che ora tutto rinasce in lei, che non sa se riuscirà a trovare un lavoro, che non si possono più fare programmi a lungo termine e questo è proprio vero; che lei può aspettare (per fortuna).
E per fortuna davvero qualcuno, mentre varca la porta dell'indicibile, la può incontrare, sorridente, e sentirsi meno solo.
mercoledì 2 aprile 2014
Hey Jude... Non peggiorare le cose
Lo ammetto: a me i cani proprio non piacciono. Li guardo malvolentieri, non li tocco mai, non mi ispirano simpatia... Però qualche giorno fa sono capitata sul lago di Caldonazzo. Cioè, ci sono andata in missione per conto della mia felicità. Lì, sulla spiaggetta d'erba, trotterellava una cagnetta di quelle che io definisco "con la pelle".
I giovani nuovi padroncini non avevano occhi che per lei. Mi sono avvicinata (!!) e ho chiesto se potevo fotografarla. I padroni dei cani li amano e ne sono orgogliosi come se fossero dei figli, si sa. Mi fa sempre specie, ma è così. Ho chiesto alla ragazza come si chiamasse 'sto cane. "Jude", mi ha risposto. E io, ovviamente: "Ah, come Hey Jude".
E qui, la sorpresa: occhi lucidi di gioia, la pulzella mi urla estasiata: "Lei è la prima che l'ha capito! Che bello! Finalmente!".
E io ho tristemente realizzato, nell'ordine, che:
- i Beatles sono preistorici;
- io sono un Camarasaurus (rettile diviso in compartimenti);
- è giusto che passi da un Volkswagen California a un furgonato perché sto entrando nella terza fase della mia vita, non sono più una Figlia dei Fiori, quasi non sono più neanche una figlia. E quindi mi devo piegare alle comodità del furgonato. Furgonato che mi vien voglia di chiamare "Heyjude", tutto attaccato.
- Don't make it bad.
I giovani nuovi padroncini non avevano occhi che per lei. Mi sono avvicinata (!!) e ho chiesto se potevo fotografarla. I padroni dei cani li amano e ne sono orgogliosi come se fossero dei figli, si sa. Mi fa sempre specie, ma è così. Ho chiesto alla ragazza come si chiamasse 'sto cane. "Jude", mi ha risposto. E io, ovviamente: "Ah, come Hey Jude".
E qui, la sorpresa: occhi lucidi di gioia, la pulzella mi urla estasiata: "Lei è la prima che l'ha capito! Che bello! Finalmente!".
E io ho tristemente realizzato, nell'ordine, che:
- i Beatles sono preistorici;
- io sono un Camarasaurus (rettile diviso in compartimenti);
- è giusto che passi da un Volkswagen California a un furgonato perché sto entrando nella terza fase della mia vita, non sono più una Figlia dei Fiori, quasi non sono più neanche una figlia. E quindi mi devo piegare alle comodità del furgonato. Furgonato che mi vien voglia di chiamare "Heyjude", tutto attaccato.
- Don't make it bad.
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